Gela. A giugno dello scorso anno, i giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta confermarono la decisione del gup del tribunale di Gela, condannando a quattordici anni e quattro mesi di reclusione il cinquantatreenne Giuseppe Cinardi. Il caso, a dicembre, arriverà in Corte di Cassazione. E’ stato fissato il giudizio, a seguito del ricorso presentato dalla difesa dell’imputato. Cinardi è accusato dell’omicidio del cognato, il trentatreenne Maurizio Peritore. Il suo corpo, ormai privo di vita, venne ritrovato dai carabinieri nella zona delle palazzine popolari di via Attica. Fatale fu una delle coltellate inferte da Cinardi, al culmine dell’ennesimo diverbio. Tra i due, infatti, i rapporti erano molto tesi e secondo quanto emerso dalla ricostruzione degli investigatori, si affrontarono. Anche Cinardi subì ferite molto profonde e ha sempre sostenuto di essersi difeso, spiegando che anche la vittima avrebbe usato un coltello, colpendolo per primo. La difesa, sostenuta dall’avvocato Salvo Macrì, in primo grado optò per il rito abbreviato e riuscì ad ottenere una decisione che ha escluso la premeditazione. Dall’accusa arrivò la richiesta del massimo della pena. In appello, i magistrati nisseni confermarono. Secondo il legale di Cinardi, ci sarebbero altri aspetti da verificare e per questo si è rivolto ai giudici romani. E’ stato predisposto un ampio ricorso, che analizza le motivazioni di appello, alla fine chiedendo di rivedere la decisione. Sia in primo che in secondo grado, l’accusa è stata sostenuta dal pm Luigi Lo Valvo. Nel procedimento sono parti civili i familiari di Peritore, assistiti dagli avvocati Giacomo Ventura e Maria Elena Ventura.
Gli è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni e i legali hanno sempre spiegato che Cinardi avrebbe agito per uccidere. Peritore lo aveva accusato del danneggiamento della propria vettura e chiese spiegazioni. Gli animi si accesero e si arrivò allo scontro, con conseguenze tragiche. Quella sera, era presente la moglie di Peritore, che rimase ferita ma senza riportare gravi conseguenze. Saranno i giudici di Cassazione a valutare le ragioni della difesa e a pronunciarsi.