Gela. Scomparve nel nulla trentatré anni fa. I resti della giovane Rosaria Palmieri non furono mai ritrovati. Venne uccisa dall’allora marito, il bracciante Vincenzo Scudera, condannato in via definitiva all’ergastolo. Ad anni di distanza dalla scomparsa, i carabinieri e i pm della procura ricostruirono l’omicidio. Inizialmente, il caso era stato quasi del tutto abbandonato e Scudera si rifece una vita nelle Marche, dopo aver lasciato Gela. Secondo gli investigatori, durante le indagini, ci furono tentativi di ostacolarle. Nel novembre di un anno fa, Francesco Cafà, molto vicino a Scudera, è stato condannato a tre anni di reclusione. Secondo il giudice del tribunale Ersilia Guzzetta, avrebbe reso delle dichiarazioni non veritiere. Avrebbe negato di essere a conoscenza dell’omicidio. Gli inquirenti, invece, sono certi che Scudera si fosse confidato con lui, come raccontato dal collaboratore di giustizia Calogero Riggio. Fu l’ex stiddaro riesino a rafforzare la pista seguita dai carabinieri. Sapeva che Scudera uccise la giovane moglie, perché interessato ad allacciare una nuova relazione sentimentale, con un familiare della giovane. Il cadavere venne occultato. Il collaboratore spiegò di aver saputo diversi particolari anche da Cafà, che invece davanti agli investigatori negò. La sentenza di condanna è stata impugnata dal difensore, l’avvocato Davide Anzalone, che già in primo grado ha messo in dubbio la ricostruzione, sollevando diverse contestazioni anche sulle modalità dell’interrogatorio al quale venne sottoposto Cafà. Secondo la sua tesi, non avrebbe avuto l’obbligo di raccontare particolari che potevano far emergere eventuali responsabilità personali nella vicenda. Una linea non accolta dal giudice, che ha emesso la condanna, accogliendo in pieno le richieste dell’accusa.
Saranno i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta a valutare il ricorso presentato dalla difesa. In base a quanto scoperto dagli investigatori, nel periodo dell’omicidio, Scudera, Cafà e Riggio sarebbero stati affiliati al gruppo della stidda e anche per questa ragione ebbero rapporti di frequentazione.