Non ha coperto i presunti “tombaroli”, assolto imprenditore: accusato di non aver fatto i nomi

 
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Gela. Secondo i magistrati, non avrebbe rivelato l’identità di un gruppo di catanesi, in quel periodo ritenuto attivo nel traffico illecito di reperti archeologici, sottratti dai siti locali. In appello, però, sono cadute tutte le accuse mosse nei confronti dell’imprenditore Nicolò Cassarà. In primo grado, il giudice del tribunale di Gela gli aveva imposto la condanna a dieci mesi di reclusione. Venne ascoltato come persona informata sui fatti, ma durante le indagini fece solo riferimento ad un militare della guardia di finanza, che avrebbe avuto informazioni sul presunto traffico, ma non dei catanesi che ne facevano parte. La difesa, sostenuta dall’avvocato Giovanni Lomonaco, ha impugnato la condanna davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. Ha sostenuto che quando Cassarà venne convocato dagli investigatori avrebbe dovuto essere sentito con tutte le forme di tutela previste per un indagato, dato che era sottoposto ad un’altra inchiesta, sempre sul commercio illegale di reperti archeologici.

Tutele che non gli vennero garantite. L’imputato, anche in primo grado, ha sostenuto di aver fornito solo le informazioni delle quali era effettivamente a conoscenza, escludendo di aver voluto coprire i presunti responsabili del giro di reperti. La linea del legale di difesa ha convinto i giudici di secondo grado, che riformando il primo verdetto hanno assolto l’imprenditore.

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