“Non esiste il clan Alferi…la pistola mai utilizzata”, la difesa di Giovane: finì nel blitz “Inferis”

 
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Gela. Non avrebbe fatto parte di nessun gruppo mafioso. Accusato anche del possesso di una pistola. Così, la difesa di Francesco Giovane ha risposto alle accuse mossegli dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Proprio Giovane, dopo la condanna di primo grado, si trova a processo davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. Per gli investigatori e in base al contenuto del verdetto di primo grado, Francesco Giovane sarebbe stato un fedelissimo di Peppe Alferi, attualmente detenuto sotto regime di carcere duro. A contestare le accuse, confermate anche dalla procura generale, è stato l’avvocato Giacomo Ventura, difensore di fiducia dell’imputato. Giovane finì al centro dell’inchiesta “Inferis” e la sua posizione, nel giudizio di secondo grado, è stata stralciata rispetto al troncone processuale principale dopo il ricorso in Cassazione presentato dalla difesa. L’avvocato Ventura, in aula, ha nuovamente ribadito che l’imputato non avrebbe fatto parte di un gruppo mafioso, ritenuto comunque inesistente. La presenza del suo nucleo familiare in uno degli appartamenti gestiti dallo Iacp a Scavone, inoltre, sarebbe da legare solo al bisogno economico e non, invece, alla presunta vicinanza al clan. Tra le accuse mosse dai magistrati all’imputato, anche quella di aver avuto la disponibilità di una pistola. La difesa, anche in questo caso, ha sottolineato come l’arma si trovasse nell’abitazione della madre dell’imputato e che lo stesso non l’avrebbe mai utilizzata. A questo punto, il verdetto della Corte d’appello arriverà a metà aprile mentre nelle prossime ore dovrebbe concludersi il giudizio d’appello per gli altri sedici imputati.

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