Gela. La corte presieduta dal giudice Paolo Fiore lo ha condannato ad un anno e dieci mesi di detenzione.
Si è concluso in questo modo il processo di primo grado a carico di un uomo di origine maghrebina, da anni residente in città dove lavora regolarmente alle dipendenze di un’azienda, accusato di aver molestato sessualmente la giovane nipote. M.J., queste le sue iniziali, è stato ritenuto colpevole dei fatti addebitatigli dalla procura. Le presunte molestie sessuali risalgono a quattro anni fa. La denuncia che ha permesso di avviare le indagini è partita direttamente dal nucleo familiare dell’uomo.
Anche la moglie dell’imputato e i suoi figli vivono da anni in città. La decisione assunta dalla corte, comunque, non ha sposato in pieno la linea d’accusa sostenuta dal pubblico ministero Lara Seccacini. Il magistrato, infatti, a conclusione dell’ultima udienza ha chiesto la condanna a cinque anni di reclusione.
Il difensore del maghrebino, l’avvocato Rocco Guarnaccia, così, ha fatto emergere alcune incongruenze nei racconti intessuti dai testimoni chiamati in aula. In sostanza, stando alla difesa, non ci sarebbe stata alcuna molestia sessuale nei confronti della presunta vittima.
La denuncia sarebbe scattata a conclusione di una lunga fase di dissapori interni alla famiglia dell’imputato. Le contestazioni proposte dall’avvocato Guarnaccia hanno contribuito a rendere meno aspra la condanna inferta a M.J. In base alla tesi sostenuta dall’accusa, l’imputato avrebbe preso di mira la giovane nipote: divenuta oggetto delle sue mire sessuali.
Fatti descritti nella denuncia presentata davanti alle forze dell’ordine. Una condotta che avrebbe, però, generato la reazione dei parenti. L’avvocato Rocco Guarnaccia, invece, ha cercato di smontare la tesi della procura. Secondo la difesa, infatti, M.J. non avrebbe mai molestato la presunta vittima: anzi, sarebbe stato lui stesso ad allontanarsi dall’abitazione di famiglia a causa di continue tensioni personali.
Un allontanamento, però, che avrebbe scatenato la reazione dei congiunti e, di conseguenza, la denuncia. Il giudice Paolo Fiore, nel dispositivo letto in aula, ha condannato l’imputato ad un anno e dieci mesi di reclusione.
Non è da escludere, comunque, che l’avvocato difensore impugni la sentenza davanti alla corte d’appello: soprattutto, facendo leva sulle presunte incongruenze emerse dalle testimonianze rese in aula dagli stessi parenti della giovane.