Gela. Ragazza madre, figlia di vittima di mafia, costretta a rifugiarsi in una comunità perché picchiata e minacciata dall’uomo che le ha dato tre figli. E’ questa la storia di una donna di appena 28 anni che abbiamo deciso di chiamare Claudia per tutelare la sua identità e quella dei suoi bambini. Ieri, dopo l’ennesima aggressione, Claudia ha deciso di denunciare e raccontare sette anni di silenzi caratterizzati da continue violenze subite anche alla presenza dei tre figli. “Quando ero in attesa del nostro primo bambino – rivela – mi minacciò puntatomi contro un fucile. Andai nel panico e solo per una fortuita coincidenza quell’episodio non sfociò in un aborto”.
A fare uscire allo scoperto Claudia è stata l’ennesima aggressione subita ieri pomeriggio in strada, davanti l’abitazione dei suo aggressore e dei suoi genitori. Doveva essere il giorno dell’addio, sancito con il trasloco dell’appartamento che la coppia ha condiviso per anni. “Mio figlio e mia cugina, ancora minorenni – racconta in lacrime la malcapitata –, sono stati attori involontari dell’ennesima reazione incontrollata del mio ex compagno. Appena ha appreso la mia intenzione di volere raccontare tutto alle forze dell’ordine dalle parole è passato brevemente alle vie di fatto. Sono stata schiaffeggiata e catapultata sul cofano della nostra auto in sosta, dove ha cercato di strangolarmi immobilizzandomi con le sue forti mani strette sul mio collo. Nel tentativo di liberarmi sono stramazzata sull’asfalto. E’ stato in quel momento che ha ripreso a schiaffeggiarmi. Ha smesso solo dopo avere sentito le sirene delle volanti delle forze dell’ordine”.
L’intervento dei carabinieri ha permesso a Claudia di ricorrere alle cure mediche del Pronto soccorso e raccontare la violenza subita. Immediatamente dopo, accompagnata dalla madre, si è recata presso il reparto territoriale dei carabinieri in via Venezia. “Ho deciso di dire basta e oppormi a queste continue violenze – ammette – Non è la prima volta che mi costringe alle cure ospedaliere. Voglio essere lasciata in pace e cercare di ricominciare una nuova vita con i miei figli”. Intanto, i sanitari hanno dimesso la ventottenne giudicandola guaribile in una settimana. I segni riscontrati dai medici testimonierebbero la violenza raccontata da Claudia. “Avevo pensato di affidargli i nostri figli influenzati – conclude la ventottenne – considerato che era deciso a non aiutarmi col trasloco. Ho fatto tutto da sola ma al rientro lui e i miei figli non erano in casa. E’ stato in quel momento che, preoccupata, ho chiamato i carabinieri. Prima del loro arrivo ho avuto una reazione incontrollata e lui ha ripreso a malmenarmi. Avrebbe potuto uccidermi”. Il drammatico racconto di Claudia, che dovrebbe fare scattare la macchina di tutela dello Stato a chi subisce violenze, evidenzia lacune. Il codice rosa al Pronto soccorso non è ancora attivo e chi subisce deve trovare anche il coraggio e la lucidità di orientarsi per non finire ancora nella rete dei propri aguzzini.