Maxi sequestro di beni da 50 milioni di euro, attività sulle aziende di Catania
La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Caltanissetta ha dato esecuzione a un provvedimento di sequestro di beni, di primo grado. Si tratta di beni riconducibili all'imprenditore gelese Emanuele Catania, condannato per i fatti di "Extra fines"

Gela. Maxi sequestro da circa 50 milioni di euro nel settore ittico, come abbiamo riferito questa mattina. Al centro delle attività, società e beni riconducibili all'imprenditore Emanuele Catania. Sono coinvolte società operanti in Italia e Marocco.
La Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Caltanissetta ha dato esecuzione a un provvedimento di sequestro di beni, di primo grado, emesso dal Tribunale di Caltanissetta–Sezione Misure di Prevenzione, su proposta formulata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, nei confronti dello stesso Catania inteso Antonino, imprenditore gelese storicamente attivo nel settore della pesca e della commercializzazione
di prodotti ittici, anche su scala internazionale. Il provvedimento, eseguito dai militari del G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caltanissetta con il supporto operativo del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, ha riguardato un patrimonio del valore complessivo di circa 50 milioni di euro, costituito da oltre 40 immobili, veicoli, conti correnti bancari, quote societarie, unità navali (pescherecci) e compendi aziendali, con sedi e ramificazioni operative in Italia e Marocco. Il sequestro trae origine da approfonditi accertamenti patrimoniali eseguiti ex art. 19 del
D.Lgs. 159/2011 – su delega della locale Procura – che hanno riguardato 45 soggetti tra persone fisiche e giuridiche, ricostruendo un imponente reticolo societario e familiare, nonché una sperequazione evidente tra redditi dichiarati e incremento patrimoniale osservato nel periodo 1985-2022. Emanuele Catania è soggetto coinvolto e condannato in via definitiva per associazione mafiosa per avere fatto parte sin dai primi degli anni ‘90 dell’organizzazione criminale di stampo mafioso denominata Cosa nostra operante e segnatamente della famiglia Rinzivillo, avente al vertice i fratelli Antonio, Crocifisso e Salvatore Rinzivillo. Inizialmente, Catania è stato assolto in primo grado dal Tribunale di Gela che ha restituito
i beni sottoposti a sequestro penale. La Procura di Caltanissetta ha poi impugnato l’assoluzione dinnanzi alla Corte di Appello di Caltanissetta che lo ha riconosciuto colpevole del delitto di associazione di stampo mafioso, pronuncia confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza dello scorso anno. Si è in particolare accertato che Catania è stato soggetto di riferimento per l’organizzazione mafiosa e in particolare per il reggente della stessa Salvatore Rinzivillo, avendo offerto supporto per favorire l’infiltrazione nel tessuto economico legale di attività con le quali riciclare proventi illeciti ed operando anche in condizioni di favore grazie alla “persuasione” mafiosa in grado di alterare le regole della concorrenza di mercato. In particolare, Rinzivillo per favorire l’infiltrazione mafiosa nell’economia legale, chiedeva proprio a Catania disponibilità per dar corso al commercio nel settore ittico, nell’ambito del più ampio progetto sviluppato, insieme ad altri imprenditori gelesi operanti nel mercato ittico, di estensione del commercio dal Marocco, paese dove Guttadauro già operava e dove Catania acquisiva il controllo della società Gastronomia Napoletana, società di diritto marocchino, di cui assumeva il ruolo sia di socio che di amministratore unico. Dato particolarmente significativo è il fatto che le indagini hanno acclarato come sia l’ingerenza nei settori economici uno degli aspetti che più ha attirato gli appetiti dell’organizzazione mafiosa: in particolare proprio il settore nel quale ha operato Catania, ovvero il settore ittico siciliano, il quale è risultato essere gestito, in massima parte, solo dai mafiosi che imponevano le loro forniture di pesce, monopolizzando praticamente il mercato. Le dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia hanno descritto, sin dagli anni ’80, rapporti fondati su reciproci obblighi e vantaggi illeciti tra Catania e la consorteria mafiosa gelese. Nell’ambito dell’operazione “Terra Nuova 2” (p.p. 473/2003 R.G.N.R.), le dichiarazioni dei collaboratori hanno delineato il profilo di Catania come uomo di fiducia di Antonio Rinzivillo, il quale avrebbe investito i proventi dell’attività illecita di traffico di stupefacenti nelle attività economiche dei fratelli Catania. Questi ultimi godevano di “protezione” grazie ai rapporti privilegiati e di natura economica con il clan. Nel procedimento "Extra fines" la Corte di Appello ha ritenuto accertata la piena disponibilità di Catania sull’intera struttura associativa dei Rinzivillo già dagli anni novanta. La Corte territoriale ha evidenziato come il rapporto privilegiato di amicizia tra Catania e i Rinzivillo abbia costituito il presupposto per la creazione e il rafforzamento di un legame di natura molto più profonda. Sulla base degli elementi emersi, come già sottolineato dalla Corte di Appello, risulta l’interesse reciproco tra i Rinzivillo e Catania. L'imprenditore è stato condannato in appello e poi in Cassazione, con decisione definitiva a 6 anni e 8 mesi di reclusione, in quanto ritenuto partecipe dell'associazione mafiosa, capeggiata dai fratelli Rinzivillo. Avrebbe ricevuto protezione e indebite agevolazioni nell’esercizio della propria attività economica. Molti dei beni e delle società sottoposte a sequestro sono formalmente riconducibili al fratello di Catania, soggetto non condannato per associazione mafiosa che è stato coinvolto nella presente operazione quale “terzo interessato” in virtù della menzionata formale intestazione di cespiti. La Guardia di Finanza di Caltanissetta, nel corso delle complesse attività investigative, ha ricostruito l’intero patrimonio dei proposti, evidenziando come la capacità reddituale ufficiale dei nuclei familiari fosse del tutto incongrua rispetto ai capitali investiti, specie nel periodo tra il 1998 e il 2007. Gli investimenti rilevati, non supportati da fonti lecite, sono risultati essere verosimilmente frutto di disponibilità finanziarie di origine ignota, successivamente reimpiegate. In tale contesto, fondamentale è risultato il contributo operativo del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, che ha permesso il sequestro dei natanti (pescherecci e una barca da diporto) riconducibili alle società dei fratelli Catania. La misura, che precede la richiesta di confisca definitiva, mira a cautelare il patrimonio accumulato illecitamente e sottrarre risorse economiche alle consorterie mafiose, continuando il contrasto strutturale alla contaminazione dell’economia legale da parte della criminalità organizzata.