Brescia. La contestazione mafiosa era già stata ritirata dalla procura bresciana, lo scorso anno, prima ancora dell’avvio del giudizio. Negli altri filoni processuali scaturiti dal maxi blitz “Leonessa”, infatti, non sono mai emerse le condizioni per riconoscere l’esistenza di una presunta organizzazione mafiosa, incardinata nella stidda gelese. I pm optarono quindi per il ritiro dell’accusa. Rimanevano quelle maturate su un possibile sistema di compensazioni fiscali indebite. I giudici bresciani, per circa sessanta imputati, hanno indicato l’incompetenza territoriale. Così, gli atti saranno trasmessi ad altre procure, in base al territorio di riferimento nel quale si sarebbero concretizzate le presentazioni dei modelli per operazioni frauidolente a favore di aziende e imprenditori che si affidarono soprattutto ai consulenti gelesi. Nel procedimento sono coinvolti imprenditori del nord Italia, professionisti e presunti faccendieri, che avrebbero usufruito dei “servizi” del gruppo gelese specializzato nelle compensazioni illecite. Gli atti saranno trasmessi pure ai pm della procura locale. L’incompetenza territoriale venne sollevate dalle difese e il giudice monocratico bresciano, intervenuto dopo la rinuncia alla contestazione mafiosa, non ha potuto fare altro che riconoscerla.
Nelle altre costole processuali (una già definitiva con condanne confermate dalla Cassazione) ci sono state pronunce pesanti per gli imputati, gelesi e non solo, proprio rispetto ai capi di accusa del giro di compensazioni irregolari. Uno dei punti di riferimento, come indicato dagli inquirenti, era il consulente Rosario Marchese, attualmente detenuto e condannato in appello per questi fatti.