Gela. Lo scorso anno, il gip del tribunale di Milano non accolse la tesi dei pm sull’esistenza di un presunto consorzio mafioso, costituito da esponenti di ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra, attivo nell’hinterland del capoluogo lombardo e nei territori limitrofi. Per gli inquirenti, c’erano anche i gelesi nella struttura criminale. La procura meneghina chiede al riesame di rivedere i provvedimenti. Ci fu l’autorizzazione solo all’esecuzione di undici misure di custodia cautelare in carcere, comprese quelle per i gelesi Dario Nicastro, Francesco Nicastro e Rosario Bonvissuto. Non ne vennero accolte altre 142. Ragione che ha indotto i pm a rivolgersi al riesame. Ritengono ci siano gli estremi per autorizzare tutte le misure restrittive. Ci sono voluti alcuni mesi per completare le attività di notifica. Le udienze inizieranno a metà marzo e ce ne vorranno almeno una decina per completare la discussione di tutti i ricorsi. Gli inquirenti ricostruirono centinaia di episodi, comprese estorsioni, danneggiamenti ad attività commerciali e interessi legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Furono monitorati quelli che per gli investigatori erano summit di mafia, tra rappresentanti delle famiglie siciliane, calabresi e campane. Dairago e Assago erano i punti di riferimento per gli incontri, questo hanno appurato gli investigatori.
Secondo il gip, però, gli elementi di prova risulterebbero “del tutto carenti”. Il pm Alessandra Cerreti ha formalizzato i ricorsi. In base all’indagine “Hydra”, anche presunti referenti del boss Matteo Messina Denaro avrebbero gravitato in quel contesto criminale. I gelesi coinvolti non avrebbero risparmiato azioni violente pur di imporsi e garantire attività a loro vicine.