Gela. L’autorizzazione finale che avrebbe consentito ai killer di Cosa nostra del Vallone di entrare in azione in via Cadorna, dove venne ucciso Giuseppe Failla, sarebbe arrivata da Giuseppe “Piddu” Madonia. Il boss è a processo insieme al presunto killer Cataldo Terminio, ad Angelo Palermo e al gelese Angelo Bruno Greco. A parlare, ieri in videocollegamento davanti ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, è stato Ciro Vara, storico collaboratore di giustizia ed ex vertice della mafia nissena. Failla, ucciso all’interno del suo bar trentadue anni fa, sarebbe stato vittima di una ritorsione, perché ritenuto legato da rapporti di amicizia ai Cerruto di San Cataldo. Terminio avrebbe ricevuto il via libera, pare per vendicare nel sangue l’omicidio del padre. Failla venne freddato all’interno dell’attività commerciale. L’intera dinamica è stata ricostruita nel corso del tempo dai pm della Dda di Caltanissetta, che sono arrivati agli imputati, anche attraverso le dichiarazioni rese proprio da alcuni storici collaboratori di giustizia. Oltre a Vara, ha parlato Salvatore Ferraro, altro collaboratore. Ha spiegato di essersi occupato del trasferimento di Terminio, quando il presunto killer fece rientro in Sicilia, pare dopo aver commesso un omicidio nel nord Italia.
Sarebbe stata una sorta di prova per dargli poi l’autorizzazione di uccidere Failla. La famiglia dell’esercente ucciso è parte civile nel dibattimento, rappresentata dall’avvocato Giovanni Bruscia. In più occasioni, è stato sottolineato dal legale come non ci siano mai stati elementi certi per ritenere che la vittima fosse in qualche modo vicina ai clan. I collaboratori sentiti come testimoni hanno risposto anche alle domande dei legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra, Sergio Iacona, Michele Micalizzi, Cristina Alfieri ed Eliana Zecca. In aula, si tornerà a febbraio, quando dovrebbe essere sentito l’altro collaboratore Leonardo Messina, sempre in qualità di testimone.