Gela. La sua testimonianza era attesa, anche per ricostruire gli equilibri dei gruppi di mafia della provincia, quando trentatré anni fa venne ucciso Giuseppe Failla, colpito a morte all’interno del suo bar di via Cadorna, in centro storico. In aula, nel dibattimento aperto per quei fatti, è stato sentito uno dei primi collaboratori di giustizia del territorio, Leonardo Messina. Ha ribadito che il barista sarebbe stato ucciso perché in rapporti di amicizia con i Cerruto di San Cataldo. A risponderne, sono Cataldo Terminio, Angelo Bruno Greco e Angelo Palermo, oltre al boss Giuseppe Madonia, che avrebbe autorizzato l’azione di morte. Il gruppo di fuoco, che secondo le accuse era composto da Terminio, Greco e Palermo, entrò in azione proprio per colpire Failla e così vendicare l’omicidio del padre dello stesso Terminio. L’esame di Messina proseguirà anche nel corso della prossima udienza, fissata a giugno. L’omicidio di via Cadorna venne ricostruito dopo anni dai pm della Dda di Caltanissetta, che seguono il dibattimento con il pubblico ministero Matteo Campagnaro. Anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state decisive per risalire ai presunti responsabili.
Nelle precedenti udienze sono già stati sentiti Ciro Vara e Salvatore Ferraro, a loro volta ex vertici di Cosa nostra del Vallone. La famiglia di Failla è parte civile nel procedimento, rappresentata dall’avvocato Giovanni Bruscia. Gli imputati invece sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Sergio Iacona, Michele Micalizzi, Cristina Alfieri ed Eliana Zecca.