Gela. I ritardi degli uffici regionali ci furono e l’ammettono anche i giudici del Tar Palermo. Allo stesso tempo, però, i magistrati amministrativi hanno respinto la richiesta di un maxi risarcimento, superiore ai 150 milioni di euro, avanzata dai responsabili della Eco Agri, azienda che qualche anno fa avrebbe voluto realizzare due impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, dopo aver acquistato una vasta area in contrada San Leo. I tempi elefantiaci della burocrazia regionale hanno fatto sforare i termini e l’azienda non è più riuscita a rientrare nelle agevolazioni del secondo conto energia. Un investimento fallito che ha indotto i legali della Eco Agri (gli avvocati Riccardo Balsamo, Sergio Antonuccio, Domenico Pitruzzella, Enrico Lubrano, Filippo Lubrano e Andrea Prosperi) a rivolgersi ai giudici amministrativi, citando i tre assessorati che si occuparono della pratica. In prima battuta, c’era stato un no, ma il Consiglio di giustizia amministrativa ha accolto le istanze dell’azienda, rinviando nuovamente al Tar Palermo. I giudici, nella sentenza appena pubblicata, ammettono che i tempi per il rilascio delle autorizzazioni non siano stati rispettati, ma la Eco Agri comunque non sarebbe stata in grado di rispettare le scadenze per accedere alle agevolazioni sugli investimenti nel fotovoltaico. “Vi sono invece consistenti motivi per ritenere, secondo la regola del “più probabile che non”, che la società ricorrente non potesse ragionevolmente conseguire in poco più di sette mesi il requisito della messa in esercizio prima del 31 dicembre 2010 – scrivono i giudici palermitani – tenuto conto dei tempi necessari all’esecuzione dei lavori, dei successivi adempimenti e della capacità finanziaria di detta società. Come correttamente evidenziato dalla difesa erariale (v. memoria depositata in data 17 ottobre 2018), a pag. 22 del documento denominato “Organizzazione e progetto serre fotovoltaiche” il tempo per la realizzazione dell’opera viene stimato – dalla stessa parte ricorrente – in 12 mesi, come da cronoprogramma (che però non risulta allegato agli atti, contrariamente a quanto si afferma nel citato documento). E pertanto, secondo le stesse, ottimistiche, previsioni della ricorrente, il solo tempo necessario per la realizzazione dei lavori avrebbe determinato uno sforamento di mesi dal termine del 31/12/2010 per accedere agli incentivi. Al tempo necessario per la realizzazione dei lavori deve aggiungersi verosimilmente quello per la realizzazione dei progetti esecutivi la effettiva fornitura dei materiali e per ottenere i mezzi finanziari e per la successiva attivazione ed entrata in esercizio dell’impianto, quest’ultima necessaria ai fini della richiesta delle tariffe incentivanti”.
I giudici proseguono la loro disamina sulle capacità dell’azienda ricorrente. “Anche ammettendo che l’impresa ricorrente avrebbe reperito la somma in questione sul mercato – l’operazione avrebbe richiesto con certezza tempi lunghi (così come astrattamente non brevi sarebbero stati i tempi per la messa in esercizio dell’impianto. La realizzazione degli impianti di cui si discute avrebbe richiesto, infatti, un investimento di 52 milioni di euro da prendere “interamente a prestito”. E la società ricorrente non ha dimostrato di possedere i mezzi per realizzare l’investimento in questione, né ha fornito alcuna indicazione sulle modalità di reperimento delle risorse necessarie essendosi limitata a richiamare una generica attestazione di Istituto bancario (resa da una locale agenzia di Gela del Credito Siciliano”. Nonostante il rigetto del ricorso, i giudici ammettono che la Regione ha comunque delle responsabilità. “Tuttavia, in considerazione delle eccessive lungaggini dell’iter burocratico a cui il progetto della ricorrente è stato comunque sottoposto – concludono – nonché del complessivo svolgimento del processo si ravvisano giustificate ragioni per la compensazione delle spese del giudizio tra tutte le parti”.