Gela. L’impianto per il trattamento delle acque sodiche, all’interno della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore, esplose nel maggio di otto anni fa. Il grave incidente non causò vittime. A processo, per quei fatti, ci sono manager e tecnici sia di Eni che di Ecotec, l’azienda che realizzò il sistema. Le accuse vengono mosse a Mario Marrone, Battista Grosso, Giuseppe Ricci, Aurelio Faraci, Aldo Imerito, Giovanni Pace, Massimo Pisu e Giovanni Iacono. In aula, davanti al giudice Miriam D’Amore, ha deposto il perito di parte, scelto dai legali degli imputati Eni. Il docente universitario Luca Lietti ha ribadito che quella esplosione avvenne solo in senso verticale, senza quindi mettere a rischio le altre aree della fabbrica, dove erano presenti diversi lavoratori. Per il perito, inoltre, i tecnici dell’azienda avevano già operato con l’obiettivo di ridurre la portata delle acque che arrivavano all’impianto. Di conseguenza, non ci sarebbe alcuna responsabilità da parte degli stessi referenti di Eni.
Il confronto tra perizie tecniche. Ricostruzione più volte contestata dai legali degli imputati Ecotec, che invece hanno sempre ribadito il rispetto di tutti i protocolli. Sia Raffineria di Gela spa, con l’avvocato Attilio Floresta, sia Ecotec, con il legale Giuseppe Cammalleri, sono parti civili nel dibattimento. Parti civili, sono anche il Comune e la Provincia di Caltanissetta, con gli avvocati Salvo Macrì e Laura Caci. Il perito di parte, chiamato a testimoniare dai legali degli imputati Eni, ha in sostanza messo in discussione le conclusioni fornite da quello scelto dai pm della procura, che invece non ha escluso i pericoli derivanti proprio dall’esplosione dell’impianto. La decisione del giudice Miriam D’Amore dovrebbe arrivare a fine febbraio, poco prima che scatti la prescrizione.