“Le attenuanti non vanno concesse”, il Pg chiede una pena più severa per Cafà

 
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Gela. I giudici della corte d’assise d’appello di Caltanissetta, lo scorso febbraio, lo hanno condannato a ventisei anni di reclusione, con l’accusa di aver ucciso il commerciante Luciano Bellomo. La vicenda giudiziaria di Domenico Giuseppe Cafà, però, non si conclude e prosegue in cassazione.

Il procuratore generale Ferdinando Assaro ha deciso d’impugnare la sentenza d’appello. A Cafà, stando al ricorso presentato davanti ai magistrati della corte di cassazione, sarebbe dovuta spettare la pena massima, l’ergastolo. Il procuratore generale, così, contesta le attenuanti generiche riconosciute al giovane dai giudici d’appello. L’assenza di precedenti penali in capo all’imputato, almeno in base alle indicazioni che giungono dal pg, non sarebbe una condizione sufficiente a garantirgli lo sconto di pena adottato nell’aula della corte d’assise d’appello nissena. Lo scorso febbraio, i giudici di secondo grado avevano completamente ribaltato il primo verdetto che aveva mandato assolto il presunto killer di Luciano Bellomo. Adesso, saranno i magistrati romani di cassazione a fissare la data per la discussione del ricorso presentato dalla pubblica accusa. Cafà è stato difeso, durante il procedimento di secondo grado, dall’avvocato Giuseppe Botta. I legali Salvo Macrì e Nicoletta cauchi, invece, hanno assistito i familiari del commerciante vittima dell’agguato.

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