Gela. “Inizialmente ci venne riferito che in quella vasca erano stati stoccati cavi elettrici. In realtà, dopo le analisi di laboratorio, è emersa la presenza di amianto del tipo amosite”. A descrivere quanto accertato nell’agosto di otto anni fa nell’area della vasca 4 all’isola 32 della raffineria Eni è stato il consulente delegato dai pm della procura, che proprio su quella vasca hanno avviato un’inchiesta, poi giunta a processo. Le accuse vengono mosse contro Bernardo Casa, Rosario Orlando, Aurelio Faraci, Biagio Genna e Arturo Anania. In collegamento video, il perito ha illustrato altri particolari. “Ci siamo trovati davanti ad una copertura in parte divelta – ha continuato – c’erano diversi big bag. L’amosite analizzata era fortemente degradata”. Rispondendo alle domande del pm Mario Calabrese, ha anche sostenuto che quella vasca trasformata in discarica di rifiuti altamente pericolosi era alla portata di tutti (seppur delimitata da un cancello), a poca distanza da altri impianti della fabbrica, dove lavoravano molti operai.
Nel procedimento, parti civili sono il Comune, con gli avvocati Flavio Sinatra e Raffaela Nastasi, le associazioni Aria Nuova e Amici della Terra, con i legali Joseph Donegani e Salvo Macrì, oltre al Ministero dell’ambiente, rappresentato dall’avvocato Giuseppe Laspina. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Gualtiero Cataldo e Carlo Autru Ryolo. Le esposizioni maggiori, stando alle accuse mosse dai pm della procura, le avrebbe subite Vincenzo D’Agostino, per anni custode di quelle vasche. Il lavoratore è parte civile, con l’avvocato Giovanni Avila. Parti civili sono anche altri operai dell’Osservatorio nazionale amianto, con gli avvocati Davide Ancona ed Ezio Bonanni. I difensori hanno chiesto maggiori particolari sul tipo di analisi condotte durante i controlli all’isola 32. Il perito effettuò di persona i primi sopralluoghi nell’area.