Gela. Ci sarebbero stati errori nella gestione del ciclo di quegli impianti, dovuti a scelte non corrette assunte dagli operatori di turno. Sono queste le conclusioni che arrivano dai consulenti delle difese degli imputati, accusati dello sversamento che nel maggio di cinque anni fa, fece arrivare in mare anche acido solforico, fuoriuscito dal sistema degli impianti di trattamento della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore. Lo sversamento di circa cinquemila metri cubi di reflui industriali non depurati, altamente acidi, ha portato a processo l’ex amministratore delegato di raffineria Bernardo Casa, il responsabile della Soi 4 Massimo Pessina e la società Raffineria di Gela. I consulenti, chiamati a testimoniare dai difensori, hanno ripercorso l’intera vicenda, analizzando gli aspetti tecnici che avrebbero poi condotto alla conseguenza, ricostruita dai militari della capitaneria di porto e dai pm della procura. “Non fu possibile – ha detto uno dei consulenti – neanche attivare la garanzia del bacino di contenimento che avrebbe sicuramente fermato la fuoriuscita”.
I consulenti della difesa. Una lunga deposizione, quella dei tecnici, che ha fatto emergere non pochi dubbi su possibili errori di manovra. Tutto sarebbe da legare all’afflusso di circa tre tonnellate di acido solforico nella fogna oleosa dell’impianto di trattamento acque di falda. I due esperti hanno risposto anche alle domande del pm Sonia Tramontana. Gli accertamenti vennero effettuati anche dai funzionari della Provincia di Caltanissetta. Parti civili nel procedimento, sono il Ministero dell’ambiente con il legale Giuseppe Laspina, il Comune, con l’avvocato Ausilia Faraci, l’associazione Amici della Terra, rappresentata dall’avvocato Joseph Donegani, e l’associazione Aria Nuova, con il legale Antonino Ficarra. Gli imputati, invece, sono difesi dagli avvocati Gualtiero Cataldo, Alessandra Geraci, Piero Amara e Angelo Mangione. Le richieste d’accusa verranno formalizzate alla prossima udienza, davanti al giudice Marica Marino.