La pista fantasma che decise i cieli di Sicilia: si trova nel cuore della piana di Gela e racconta una storia
Dalle battaglie di Malta allo sbarco del ’43: l’ex aeroporto Ponte Olivo di Gela fu la chiave dei cieli di Sicilia, oggi quasi scomparso.
Nel cuore della piana di Gela, accanto alla SS 117 bis, giacciono i resti semi-sepolti di Ponte Olivo, aeroporto militare sorto negli anni Trenta. Da questa striscia di terra lunga 1 800 m decollarono bombardieri contro Malta, atterrarono assi dell’aria tedeschi e, la notte fra il 9 e il 10 luglio 1943, paracadutisti dell’82ᵃ Airborne vi posarono stivali e destino dell’Operazione Husky, consegnando la Sicilia agli Alleati in appena 38 giorni. Oggi la pista è quasi inghiottita da campi di grano, ma la sua storia continua a cambiare il paesaggio della memoria siciliana
Dalla base fascista alla tempesta di fuoco (1939-1943)
Costruito per la Regia Aeronautica, Ponte Olivo ospitò il 41° Stormo SM.79 (1939) e il 102° Gruppo Tuffatori di Giuseppe Cenni (1942), impegnati a martellare le isole maltesi. Nel ’41 arrivarono i Bf-109 di JG 26 e gli FW-190 di SKG 10 tedeschi. Quando gli Alleati pianificarono lo sbarco, la pista divenne obiettivo primario: bombardata a tappeto, fu assaltata dal 505° RCT e dal 3°/504° paracadutisti che, pur dispersi dal maestrale, presero le alture circostanti riducendo a silenzio l’aviazione dell’Asse.
Dodici ingegneri dell’809th EAB ricostruirono la superficie in pochi giorni con PSP – pierced-steel planking: dal 12 luglio il 27th Fighter-Bomber Group lanciava A-36 Apache contro colonne corazzate tedesche, confermando che il dominio del cielo nasceva da quella sottile dorsale di lamiera posata fra dune e ulivi.
Dal rombo dei motori al silenzio: l’eredità nascosta (1944-oggi)
Conclusa la campagna, gli USA chiusero il campo nel settembre ’44; ma negli anni Cinquanta Enrico Mattei trasformò Ponte Olivo in scalo privato ENI per sorvolare i futuri impianti petrolchimici di Gela. Il 27 ottobre 1962, alle 07:30, Mattei decollò proprio da qui per l’ultimo volo, precipitando poche ore dopo nei cieli di Bascapé: un dettaglio che lega il destino dell’energia italiana a questo remoto fazzoletto di Sicilia.
Oggi i solchi delle piste sopravvivono soltanto nelle foto aeree; casematte in cemento, rifugi antischegge a zig-zag e qualche lastra di PSP incastonata in recinzioni rurali indicano che la guerra ha segnato la terra come un fossile metallico. I progetti di rinascita civile (Aeroporto “Golfo Federico II”) non sono mai decollati, e l’area resta un laboratorio spontaneo di archeologia militare a cielo aperto.
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