Gela. Dovranno rispondere alle accuse, davanti ai giudici del tribunale di Potenza. E’ stato disposto il giudizio per tre coinvolti dopo l’inchiesta, condotta dalla Dda potentina, che ha portato a ricostruire presunte pressioni su diversi operai, soprattutto trasfertisti, che avrebbero ricevuto richieste di denaro. Secondo gli investigatori, si sarebbe trattato di minacce e messe a posto. L’attenzione degli inquirenti lucani si concentrò sul gelese cinquantaduenne Vincenzo Pistritto, che lavorava come responsabile del personale in una delle aziende dell’indotto del sito produttivo di Tempa Rossa. Insieme a lui, vanno a giudizio altri due coinvolti nell’indagine (c’è anche un cittadino di nazionalità albanese). Il gup ha deciso per il rinvio a giudizio. Gli investigatori effettuarono accertamenti anche sui conti e sulla gestione di alcune aziende, con sede nel nord Italia. Lo scorso anno, infatti, vennero anche sequestrati circa 62 mila euro. I legali di difesa del gelese (avvocati Enia e Occhipinti) hanno sempre respinto le accuse degli investigatori lucani. Al riesame caddero alcune contestazioni, soprattutto rispetto all’aggravante mafiosa.
Pistritto fu già assolto nel procedimento che scaturì dall’indagine “Cayman” e i giudici non lo ritennero vicino alla stidda, come ha ricordato la difesa, producendo atti e decisioni, già passate in giudicato. Il gelese, in fase di indagine e davanti al gip, ha spiegato di non aver mai minacciato gli operai per i soldi, ma anzi di averli sempre sostenuti anche qualora si fossero trovati in difficoltà economiche. Per gli inquirenti, invece, i lavoratori avrebbero dovuto cedere una parte dello stipendio mensile. Tutte contestazioni che dovranno essere valutate a processo.