Gela. La morte dell’operaio Arcangelo Messana sarebbe stata determinata da omissioni nelle attività di manutenzione e messa in sicurezza di un tratto stradale del lungomare Federico II di Svevia, nei pressi del porto rifugio. Una ricostruzione che ha condotto il pm Gesualda Perspicace a richiedere la condanna, ad un anno ciascuno, per l’ex sindaco Domenico Messinese e per il funzionario comunale Raffaella Galanti. Secondo le contestazioni, ci sarebbe stata “negligenza”. L’operaio era alla guida della sua Fiat 600 quando all’altezza della rotatoria stradale, a ridosso del porto rifugio, finì contro uno dei parapetti, sfondandolo e arrivando in mare, dove perse la vita. Per il pm, il decesso fu causato “da annegamento”, come indicato dal medico che si occupò degli accertamenti. Se il parapetto e il cordolo di calcestruzzo avessero retto, in base alla linea d’accusa, l’auto non sarebbe precipitata in mare. Anche nell’ipotesi di un eventuale malore alla guida, l’operaio avrebbe potuto avere i soccorsi, senza la tragica conseguenza del volo sugli scogli e poi in mare. Le conclusioni dell’accusa sono state sostenute dalle parti civili, ovvero i legali che rappresentano i familiari di Messana, con gli avvocati Nicoletta Cauchi, Filippo Bevilacqua, Arturo Barbarino e Mauro Lombardo. Il Comune è nel giudizio come responsabile civile e il legale Gabriella Ganci ha a sua volta concluso.
Nel corso della prossima udienza, a fine novembre, sarà la volta dei legali di difesa, gli avvocati Rita Calò e Venere Salafia. Per i difensori, che si rifanno a conclusioni tecniche portate in dibattimento, non ci sarebbero risultanze di un collegamento tra l’incidente e le posizioni dell’ex primo cittadino e del funzionario. Non hanno mai escluso che possa essersi trattato di una tragica fatalità, dovuta ad un malore dell’operaio, che ritengono sia deceduto non per annegamento. A fine novembre si tornerà davanti al giudice Fabrizio Giannola.