Gela. I primi accertamenti, poi sfociati nella successiva inchiesta antimafia “Mutata arma”, partirono a seguito delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Roberto Di Stefano. L’ha spiegato, in aula, davanti al collegio penale del tribunale, uno degli agenti della squadra mobile di Caltanissetta che seguì l’evolversi dell’indagine, contro quelli che vengono considerati armieri dei Rinzivillo, attivi però anche nel traffico di droga. Sono a processo Angelo Gagliano, Rosario Vitale, Massimo Castiglia e Luigi Barone. Altri presunti complici sono già stati condannati dal gup, in attesa che si pronuncino i giudici di appello. Il poliziotto della mobile, rispondendo alle domande del pm della Dda di Caltanissetta Matteo Campagnaro, ha ricostruito alcuni aspetti delle attività investigative, concentrate sugli imputati. Intercettazioni e pedinamenti furono il fulcro delle operazioni. Gli avvocati Flavio Sinatra, Giuseppe Cascino Enrico Aliotta e Francesco Villardita, nel corso dell’esame del testimone, hanno però escluso che ci siano stati concreti riscontri su fatti addebitabili agli imputati. Il poliziotto ha spiegato che Salvatore Vitale non venne mai individuato con la droga. Anche su Luigi Barone, per la difesa, mancherebbero elementi precisi per collegarlo al possesso di armi.
I legali Villardita e Aliotta, a loro volta, hanno ridimensionato il presunto ruolo di Gagliano e Castiglia. Tutti aspetti che verranno approfonditi, anche attraverso la testimonianza di Roberto Di Stefano, prevista per la prossima udienza.