Brescia. La prossima settimana verranno formalizzate le richieste della procura generale nel giudizio di appello per i fatti dell’inchiesta “Leonessa”. Oggi, in aula davanti ai giudici di secondo grado di Brescia, sono stati sentiti uno degli investigatori e imputati come Rosario Marchese, Alessandro Scilio e Danilo Cassisi, che hanno voluto ulteriormente chiarire le rispettive posizioni rispetto ai capi di accusa che gli vengono addebitati. In primo grado, il collegio penale del tribunale bresciano escluse l’accusa di mafia. Secondo i pm della Dda lombarda, invece, il gruppo gelese avrebbe iniziato a generare profitti dal sistema delle indebite compensazioni fiscali, destinando i profitti alla stidda. La contestazione mafiosa, ad oggi, non ha mai retto in nessuno dei filoni processuali scaturiti dal blitz.
La pena più pesante, in primo grado, venne imposta al consulente Rosario Marchese (ora difeso dal legale Maria Valeria Feraco), condannato a sedici anni e un mese di reclusione. Per i pm della Dda di Brescia, sarebbe stato lui la mente del sistema milionario delle compensazioni illecite, riuscendo ad avere centinaia di clienti. Sette anni e otto mesi di reclusione ad Angelo Fiorisi, un altro imputato sul quale si accesero le attenzioni dell’antimafia bresciana. Per lui, difeso dai legali Flavio Sinatra e Desolina Farris, l’assoluzione è stata decisa per dieci capi di imputazione e i giudici hanno escluso il ruolo di capo che gli veniva addebitato. Sette anni e quattro mesi di detenzione alla professionista Antonella Balocco (difesa dagli avvocati Gianluca Marta e Oliviero Mazza). Per l’accusa, avrebbe avuto un ruolo nel sistema delle compensazioni e delle truffe tributarie. Assolta, invece, per altri sette capi di imputazione. Sette anni di detenzione ad un altro professionista, Corrado Savoia (assistito dai legali Deborah Abate Zaro e Oliviero Mazza), assolto per gli ulteriori sette capi di accusa. Quattro anni e otto mesi di detenzione a Gianfranco Casassa (rappresentato dal legale Vito Felici), assolto per quattro contestazioni. Quattro anni e sette mesi per Simone Di Simone (difeso dal legale Davide Limoncello) e assolto per un altro capo di imputazione. Quattro anni e sei mesi per Giovanni Interlicchia (difeso dal legale Sinuhe Curcuraci), assolto per due capi d’accusa. Quattro anni per la posizione di Giuseppe Arabia (assistito dal legale Mauro Sgotto), assolto per altri sei capi di imputazione. Due anni di reclusione, ciascuno, per Enrico Zumbo (difeso dai legali Domenico Peila e Maurizio Basile) e Alessandro Scilio (assistito dall’avvocato Roberta Castorina), assolto per un altro capo che gli veniva attribuito. Infine, un anno e otto mesi di detenzione a Carmelo Giannone (difeso dall’avvocato Lara Amata) e assolto per ulteriori due capi di accusa. La procura, oltre ad impugnare per i capi sui quali sono state pronunciate assoluzioni, ha avanzato appello per la posizione di Danilo Cassisi (rappresentato dall’avvocato Giacomo Ventura), per la mancanza di motivazione nella decisione di primo grado. Cassisi era stato completamente assolto al termine del dibattimento di primo grado. Assoluzioni giunsero per Salvatore Antonuccio e Giuseppe Cammalleri (difesi dall’avvocato Giovanna Zappulla), Matteo Collura (rappresentato dall’avvocato Angelo Cafà) e per l’avvocato Roberto Golda Perini (assistito dal legale Stefano Bazzani). Anche nei loro confronti il pm Paolo Savio aveva chiesto la condanna, così come per gli altri imputati. Per queste posizioni non è stato avanzato ricorso. Sarà la procura generale ad avanzare le conclusioni e le difese esporranno le ragioni dei ricorsi soprattutto durante l’udienza già fissata per luglio.