Gela. I giudici della Corte di Cassazione hanno confermato le condanne per i coinvolti nell’inchiesta “Donne d’onore”. Gli investigatori, coordinati dai pm della Dda di Caltanissetta, concentrarono la loro attenzione su droga ed estorsioni, ritenendo che a far partire gli ordini dal carcere fosse Nicola Liardo. In libertà, c’erano invece i familiari, a loro volta imputati per gli stessi fatti. La procura generale ha concluso per la conferma delle decisioni emesse dalla Corte d’appello di Caltanissetta, che ribadì quanto già stabilito dal collegio penale del tribunale di Gela, senza accogliere l’aggravamento richiesto invece dall’accusa. L’indagine venne condotta dai carabinieri.
Sei anni e nove mesi di reclusione per Nicola Liardo. Sei anni e sei mesi per il figlio Giuseppe Liardo, sul quale pendevano diversi capi di accusa. Gli erano già state riconosciute le attenuanti generiche e in primo grado cadde l’aggravante mafiosa. Quattro anni di reclusione per Monia Greco, moglie di Nicola Liardo. Anche per la sua posizione venne meno l’aggravante mafiosa e le furono riconosciute le attenuanti generiche. Otto mesi, con pena sospesa, per la figlia, Dorotea Liardo. Tre anni e tre mesi di detenzione, infine, a Salvatore Raniolo. Sulla base dei ricorsi proposti dai legali di difesa, gli avvocati Giacomo Ventura, Davide Limoncello e Flavio Sinatra, veniva escluso che si fossero concretizzati episodi estorsivi. Inoltre, i legali non hanno individuato estremi per ritenere che gli imputati abbiano organizzato viaggi per la droga. I ricorsi non sono stati accolti dai giudici romani, che hanno invece confermato la decisione di secondo grado. L’inchiesta venne sviluppata dalle intercettazioni effettuate in carcere, nel corso di colloqui tra Nicola Liardo e i familiari.