Gela. Una requisitoria durata circa sei ore, per arrivare alla richiesta di quindici condanne e due sole assoluzioni. Il pm della Dda di Caltanissetta Luigi Leghissa, che ha seguito per intero i due anni di istruttoria del processo scaturito dall’inchiesta antimafia “Extra fines”, ha tracciato, punto per punto, quello che sarebbe stato il sistema strutturato dal boss sessantenne Salvatore Rinzivillo, per saldare alleanze di mafia con gruppi importanti nella geografia criminale siciliana, ma anche per infiltrare settori imprenditoriali, considerati decisivi, ad iniziare dal commercio ittico all’ingrosso. Il pm si sta per congedare dalla distrettuale antimafia nissena e in questi due anni è stato applicato esclusivamente per portare avanti questo procedimento, oltre a quello legato all’inchiesta “Polis”. Per Leghissa, Rinzivillo non sarebbe stato affatto uno “sprovveduto, squattrinato”, ma anzi un vero capo, “sceso a Gela da Roma per riorganizzare il clan dopo gli arresti del blitz “Malleus”. Il boss avrebbe fatto affidamento su vecchie conoscenze, ma anche su una certa “zona grigia”, fatta di “imprenditori collusi e non vittime”. Sedici anni di reclusione sono stati chiesti per Carmelo Giannone e quattordici per Angelo Giannone, entrambi titolari di aziende del settore ittico, che secondo le accuse si sarebbero messi a disposizione del boss, sfruttando la sua vicinanza anche per riscuotere crediti o pretendere trattamenti di favore da altri operatori del settore. “Il loro capannone venne usato per incontri di mafia”, ha spiegato il pubblico ministero. Per entrambi, c’è anche la richiesta di condanna a due anni per un altro capo di imputazione. Secondo il pm Leghissa, Rinzivillo avrebbe avuto come obiettivo quello di arrivare a stringere un’intesa economica che toccasse i Guttadauro, i Giannone e un altro importante imprenditore del settore, Emanuele Catania. In ballo, ci sarebbe stato un investimento in Marocco. Per Catania sono stati chiesti dieci anni di reclusione. Rispetto alla posizione dei Giannone, il pm ha anche indicato la confisca di una delle società finita al centro dell’indagine, ma ormai fallita, o in alternativa di quote e beni per un valore non inferiore ai 100 mila euro ciascuno. Rispetto a Catania, ritenuto “contiguo” ai Rinzivillo, è stata indicata la confisca delle quote societarie di una delle sue aziende. L’imprenditore, in aula con dichiarazioni spontanee, ha parlato di “un teorema costruito intorno alla sua figura”, che però non avrebbero riscontri con la sua attività. A supervisionare le mosse e le strategie di Salvatore Rinzivillo, già condannato in abbreviato per i fatti dell’indagine “Extra fines”, ci sarebbero stati ancora i fratelli ergastolani, che nonostante il 41 bis avrebbero passato il controllo al boss sessantenne. Per Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo la richiesta è di quindici anni di reclusione ciascuno. Dieci anni sono stati chiesti per Umberto Bongiorno, con assoluzione solo per un capo di imputazione. L’esercente, che vive da tempo nel Lazio, avrebbe avuto contatti diretti con Rinzivillo, cercando di concretizzare alcuni investimenti, anche a Roma. Un altro imprenditore di riferimento sarebbe stato Alfredo Santangelo, considerato punto di contatto con la criminalità organizzata catanese. Per lui, sono stati chiesti quattordici anni di reclusione. Undici anni, invece, per Luigi Rinzivillo, la cui sala scommesse avrebbe fatto da copertura per gli incontri di Rinzivillo. Sfruttando il rapporto di parentela, secondo il pm della Dda, Luigi Rinzivillo avrebbe avuto l’appoggio del boss. Dieci anni sono stati chiesti anche per Giuseppe Licata, impegnato nel settore dell’autotrasporto e della fornitura di mezzi. Sette anni, invece, per Francesco Maiale e otto a Giovanni Maranto, che vengono collegati a presunte estorsioni per la riscossione coatta di crediti, sempre nell’interesse di aziende sotto l’influenza di Rinzivillo. Otto anni ad Antonio Passaro e Vincenzo Mulè. Sette anni a Giuseppe Rosciglione. Nel gruppo del boss avrebbe orbitato Rosario Cattuto, indicato come uno degli affiliati incaricati di minacciare i debitori, anche con una pistola che avrebbe avuto a disposizione. Per lui, condannato in via definitiva nel filone romano dell’inchiesta, sono stati chiesti undici anni di reclusione. Le uniche assoluzioni avanzate riguardano Luigi Savoldi e Fabio Stimolo. In entrambi i casi, “il fatto non sussiste”.
La lunga requisitoria è stata tenuta davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Francesca Pulvirenti e Martina Scuderoni. Nelle prossime udienze, toccherà alla difese mettere in discussione richieste di condanna, per oltre 160 anni di detenzione. Tra i legali che concluderanno, ci sono gli avvocati Flavio Sinatra, Giacomo Ventura, Riccardo Balsamo, Giovanna Cassarà, Antonio Gagliano, Boris Pastorello e Mirko Maniglia.