Il pizzino dal carcere per i soldi, l’imprenditore: “Mai subito minacce da Liardo”

 
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Immagini di repertorio

Gela. Una testa di cane mozzata davanti all’abitazione e per due volte spari proprio contro lo stesso immobile. Tutte possibili intimidazioni che sarebbero state dirette all’imprenditore Emanuele Mendola e che sono state indicate in aula dal pm della Dda di Caltanisetta Matteo Campagnaro. “Ancora oggi – ha detto l’imprenditore – non so chi sia stato”. Il testimone, titolare di un’azienda metalmeccanica, è stato chiamato in aula nel giudizio che si sta celebrando nei confronti di Nicola Liardo e della moglie Monia Greco. L’indagine partì dal ritrovamento di un pizzino, che gli investigatori ritengono fosse diretto allo stesso Mendola. Glielo avrebbe dovuto consegnare il figlio dei due imputati. In base a quanto ricostruito, Liardo dal carcere avrebbe voluto circa tremila euro. “Non ho mia subito minacce da Liardo – ha detto l’imprenditore – lo conosco e ricordo che una volta prendemmo un caffè al bar. Mi chiese lavoro, ma poi venne di nuovo arrestato. Il biglietto non mi è mai stato consegnato”. Il testimone ha risposto alle domande del pm della Dda e a quelle dei legali degli imputati, gli avvocati Giacomo Ventura, Davide Limoncello e Maria Elena Ventura.

Ha spiegato comunque che una richiesta di quel tipo non l’avrebbe considerata come un’imposizione estorsiva. “Se avessi avuto i soldi – ha confermato – un prestito glielo avrei fatto. Ma non ho mai ricevuto nulla dal figlio di Liardo. Del pizzino ho saputo solo con l’accesso agli atti d’indagine effettuato dai miei legali”. I pm della Dda di Caltanissetta, invece, sono convinti che quel biglietto fosse una vera e propria richiesta estorsiva, da far arrivare all’imprenditore.

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