Il Caso “Caltaqua”, dai dubbi sui depuratori ai flussi sospetti: l’inchiesta a doppio filo

 
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Caltanissetta. Un sistema che non depura e che, secondo gli inquirenti, potrebbe aver dirottato fondi pubblici anziché investirli nel servizio idrico. L’inchiesta sulla gestione di Caltaqua, la società che dal 2006 controlla il servizio idrico integrato in provincia di Caltanissetta, si muove lungo due direttrici parallele: da un lato l’inquinamento ambientale, dall’altro operazioni finanziarie sospette.

Le indagini, condotte dalla Procura di Caltanissetta e dalla Guardia di Finanza, hanno portato al sequestro di documenti non solo in Sicilia, ma anche a Madrid, nella sede della casa madre Aqualia. Nel mirino, dieci indagati, tra cui i vertici delle due aziende e alcuni funzionari pubblici dell’Assemblea Territoriale Idrica.

Le prime anomalie emergono da un rapporto dell’Arpa, datato gennaio 2023: gli impianti di depurazione non funzionano, e le acque reflue urbane vengono scaricate quasi senza trattamenti nei corpi idrici della provincia.

Un problema che, secondo i magistrati, non è mai stato affrontato, nonostante un’altra inchiesta avesse già denunciato situazioni simili nel 2018. Allora si parlava di impianti abbandonati, non funzionanti o mai realizzati, nonostante fondi pubblici e segnalazioni. Oggi, secondo le accuse, la situazione non solo è rimasta invariata, ma si sarebbe aggravata.

L’accusa della Procura è pesante: chi doveva garantire il trattamento delle acque avrebbe agito con malafede, ignorando le segnalazioni e protraendo un’emergenza ambientale che mette a rischio fiumi, mari e falde acquifere della provincia.

Ma c’è di più. Caltaqua e Aqualia avrebbero messo in piedi un meccanismo finanziario opaco. Secondo la Guardia di Finanza, ingenti somme di denaro sarebbero state trasferite tra le due società senza una chiara giustificazione economica.

I documenti contabili sequestrati rivelano flussi di denaro consistenti per servizi di consulenza, assistenza tecnica, progettazione, cessione di beni e distacco di personale. Spese considerate sproporzionate dagli inquirenti, che sospettano un drenaggio di risorse pubbliche a vantaggio della multinazionale spagnola.

Secondo l’ipotesi investigativa, Caltaqua sarebbe stata utilizzata da Aqualia come una sorta di “cassaforte” da cui attingere fondi, invece di investire nella gestione e manutenzione del servizio idrico.

La situazione di Caltanissetta non è un caso isolato. La Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha evidenziato una crisi diffusa nella depurazione delle acque in Sicilia.

Alcuni numeri allarmanti. Sono 463 impianti di trattamento delle acque reflue presenti sull’isola, ma il 17% è inattivo. In più, solo il 17,5% dei depuratori opera con autorizzazioni valide, mentre gli altri lavorano senza permessi o con licenze scadute. E per finire ci sono già in atto ben quattro procedure di infrazione europea pendenti contro l’Italia per violazioni sulle acque reflue.

Eppure, soldi ne sono arrivati. La Regione ha recentemente annunciato 21,5 milioni di euro di fondi PNRR destinati proprio ai depuratori della provincia di Caltanissetta. Cinque gli interventi previsti, ma il timore è che, ancora una volta, i fondi pubblici finiscano in un sistema di gestione poco trasparente, senza portare a un reale miglioramento del servizio.

L’inchiesta prosegue, e con essa i dubbi su un sistema che per anni ha ignorato ogni allarme, tra acque inquinate e soldi scomparsi.

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