Gela. Gli inquirenti che condussero l’inchiesta “Fenice” li considerano i veri pilastri criminali del patto mafioso lungo l’asse Gela-Niscemi. Per il gelese Alessandro Barberi e per i niscemesi Alberto Musto e Fabrizio Rizzo, però, i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta hanno deciso di rivedere l’entità delle condanne già inflittegli. I magistrati nisseni, nell’appello bis successivo all’annullamento deciso dalla Corte di Cassazione, hanno escluso le aggravanti che invece erano state riconosciute negli altri gradi di giudizio. Cade quella prevista dal comma 6 dell’articolo 416 bis ed inoltre Alberto Musto non è da ritenere “promotore” del patto mafioso.
La condanna di Barberi scende a quattordici anni di reclusione, in continuazione con un altro verdetto (nei precedenti gradi di giudizio era stato condannato a sedici anni di reclusione), quella di Rizzo a sei anni e otto mesi (otto anni gli erano stati imposti negli altri gradi) e quella di Musto a sette anni e cinque mesi (dieci anni e un mese era il verdetto di partenza). Anche la procura generale, nelle scorse settimane, ha chiesto di rivedere l’entità delle condanne, confermando però il ruolo di vertice di Alberto Musto. Alla fine, la Corte d’appello nissena ha preso in considerazione quanto sostenuto dai legali di difesa, gli avvocati Francesco Spataro, Flavio Sinatra e Antonio Impellizzeri che nell’appello bis hanno spinto per ottenere la rideterminazione delle condanne. Parti civili nel procedimento sono il comune di Niscemi, con l’avvocato Massimo Caristia, l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, con il legale Giuseppe Panebianco, e due imprenditori vittime di richieste estorsive.