Giustizia lumaca, 20 anni per definire una causa civile e l’imprenditore fa causa allo Stato

 
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Gela. Vent’anni per una causa civile. La causa civile iniziata vent’anni fa. Adesso, un piccolo imprenditore edile ha deciso di portare in giudizio direttamente lo Stato. Chiede di essere risarcito per l’irragionevole durata del procedimento. Tutto iniziò a conclusione di una serie di lavori edili che la sua azienda svolse per conto di un gruppo di Caltagirone. Gli accordi, però, non sarebbero stati rispettati. All’imprenditore venne pagata solo una parte delle attività svolte. Così, decise di citare il proprio committente davanti ai giudici del tribunale civile di Caltagirone. Durata della procedura, circa quindici anni. Nonostante le lungaggini, la sua richiesta venne bocciata. Così, decise d’impugnare la sentenza di primo grado davanti ai giudici della corte d’appello di Catania. Anche in questo caso, l’esito fu sfavorevole. Niente soldi per i lavori svolti e, questa volta, durata del giudizio di circa cinque anni. In sostanza, vent’anni per avere risposte dai giudici, prima calatini e poi etnei.

L’imprenditore contro lo Stato. Così, l’imprenditore, assistito dall’avvocato Joseph Donegani, si è rivolto alla corte d’appello di Messina. Chiede che lo Stato venga condannato a causa di una durata sproporzionata del giudizio. Non a caso, l’avvocato Donegani ha deciso di puntare tutto su ciò che viene stabilito nella cosiddetta legge Pinto che fissa termini rigidi per la conclusione dei giudizi civili e penali, sanzionando le eventuale infrazioni. Una disciplina scaturita dalle continue infrazioni contestate dall’Unione Europea proprio all’Italia, davantia processi fiume. L’imprenditore, che iniziò la sua “epopea” giudiziaria quando la lira era ancora in vigore per concluderla con l’euro, ha denunciato di aver dovuto sostenere spese sempre maggiori proprio a causa di un giudizio civile infinito, durato appunto vent’anni. L’intera documentazione che ricostruisce tutta la vicenda processuale è già stata depositata sui tavoli degli uffici della corte d’appello di Messina, competente a decidere in materia. L’imprenditore e il suo legale attendono solo la fissazione della data dell’udienza che dovrebbe fare chiarezza intorno all’intera vicenda e alla possibile responsabilità dello Stato. Un caso di giustizia “lumaca” ancora privo della parola fine.

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