Gela. Per il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro ed Ersilia Guzzetta), avrebbero abusato sessualmente di una giovane donna, già affetta da difficoltà psichiche. Tre imputati sono stati condannati ad otto anni di reclusione ciascuno. La decisione è stata pronunciata nei confronti di Massimo Tilaro, Cristian Sgarlata e Giovanni Manfrè. Erano a processo per rispondere di quanto accaduto alla donna, che secondo i pm della procura, diversi anni fa, venne fatta salire sull’auto con a bordo i tre giovani e poi condotta in una zona appartata, a ridosso di via Dell’Acropoli. All’interno della vettura si sarebbe verificata la violenza sessuale. La vittima fu ritrovata, ancora in compagnia degli imputati, solo dopo l’intervento dei carabinieri. Apparve subito in condizioni di assoluta fragilità e parecchio scossa. Anche ai medici del pronto soccorso dell’ospedale “Vittorio Emanuele” spiegò di essere stata violentata. I tre gli avrebbero anche sottratto il telefono cellulare, almeno durante quelle lunghe ore. Prima di salire sulla vettura, la giovane donna era in compagnia della sorella, che poi lanciò l’allarme e dopo diverse ore arrivò in via Dell’Acropoli, contattata dai carabinieri. In totale, sono state pronunciate condanne per ventiquattro anni di detenzione. Il pm Mario Calabrese, che ha seguito il giudizio in dibattimento, ha concluso sostenendo la colpevolezza dei tre e chiedendo per Manfrè e Sgarlata la condanna ad otto anni e per Tilaro a tredici anni e quattro mesi di reclusione. Il magistrato ha spiegato che dagli elementi acquisiti nel corso delle indagini e dell’incidente probatorio, è emersa la responsabilità degli imputati, che invece hanno sempre negato di aver abusato della ragazza, che pare già conoscessero. Vennero effettuati accertamenti tecnici sull’auto, alla ricerca di tracce biologiche che potessero ricondurre agli imputati.
Proprio sull’assenza di certezze hanno puntato la loro attenzione i difensori, gli avvocati Mariella Giordano e Calogero Giardina. Per i legali, la versione fornita dalla giovane donna non sarebbe mai stata veramente lineare nella ricostruzione degli accadimenti. Nel corso del dibattimento avevano ipotizzato la richiesta di una nuova perizia sulle tracce di Dna rilevate all’interno della vettura. La linea difensiva non ha trovato riscontro e il collegio ha deciso per le condanne, che quasi certamente verranno impugnate in appello.