Gela. “Il protocollo di riconversione della Raffineria non va avanti e la gente comincia ad abituarsi a vivere senza l’Eni e la fabbrica”.
Sono queste le parole di preoccupazioni espresse da Emilio Miceli, segretario nazionale Filctem Cgil, intervenuto dalla segreteria della Camera del lavoro di via Pitagora per scongiurare che “si continui a discutere solo di come distribuire assistenza tralasciando l’aspetto industriale”.
La Cgil traccia il proprio bilancio, approvando quello del territorio, dove prima della stabilità degli operai manca la certezza che il progetto di riconversione vada avanti.
Le bugie raccontate dalla politica. “Eni deve fare in modo che questa città trovi una riconversione possibile – evidenzia Miceli – Sapevamo che la favola della bacchetta magica raccontata da Matteo Renzi per risolvere la vertenza Eni a Gela non era possibile. Anche allora chiedemmo maggiore prudenza. Oggi abbiamo bisogno del governo nazionale per chiedere ai vertici del colosso energetico del cane a sei zampe di dare una spinta al protocollo sottoscritto al Mise il 6 novembre 2014”.
La preoccupazione nasce proprio dalle promesse avanzate nell’agosto 2014 dalle rappresentanze politiche in chiave Pd, con l’allora sindaco Angelo Fasulo, dal presidente della regione Rosario Crocetta e dal premier mai eletto dal popolo, Matteo Renzi. “Il governo deve dire delle cose che hanno senso – commenta il segretario nazionale Filctem Cgil – I cittadini hanno avuto una eccessiva fiducia dalle promesse di una riconversione celere. Questi elementi impongono delle correzioni e Eni deve fare in modo che Gela, affondata dal petrolio, possa vivere una nuova fase ritrovando una nuova economia”.
Incertezze sull’Upstream. Le preoccupazioni espresse dalla Cgil sono motivate anche dal cambio di programma dell’Upstream “che ad oggi non garantisce sicurezza e tempi certi – incalza Gaetano Catania, segretario provinciale Filctem Cgil – Eni sostiene che andrà avanti ma il rispetto dei tempi di realizzazione slitterà, forse anche di due o tre anni”.
“Non riusciamo ancora a dare corpo alla costruzione della nuova raffineria promessa dal governo nazionale, con Matteo Renzi, e da quello regionale di Rosario Crocetta. Il loro mancato impegno – accusa Emilio Miceli – non consente di fare passi avanti sul versante dell’Upstream dove Eni ha sicuramente rallentato usando un’eccessiva cautela che sfocia in un calo della produzione di idrocarburi a Gela”.
Nessuna tutela per i lavoratori. La rabbia dei lavoratori, gli oltre 600 del diretto e i 1.500 dell’indotto, è smorzata col passare del tempo ma non ancora del tutto spenta.
“Dobbiamo fare i conti con operai privi di ammortizzatori sociali – precisa Catania – L’assistenzialismo con l’Area di crisi complessa non ha permesso di garantire i lavoratori come avremmo voluto”.
Si è parlato anche della proposta di riavviare la produzione del petrolio a Gela, avanzata dall’Ugl con Andrea Alario e subito rivendicata con parole di stizza dai lavoratori di Sannazzaro.
Sannazzaro, sponsirizzata dalla politica. “Sannazzaro è figlia di scelte politiche – taglia corto Emilio Miceli – e non industriali. Questo bisogna averlo chiaro. Gela è la città italiana che dal punto di vista della collocazione sul versante dell’estrazione e della raffinazione avrebbe dovuto avere miglior fortuna nel corso degli anni. Eni negli anni però non ha investito, questo ha portato la raffineria ad avere un impatto sempre più pesante sulla città. Di questo aspetto Eni ne è responsabile pienamente. Non siamo più nella fase della competizione tra Sannazzaro e Gela. Certo c’è anche il rammarico su quello che Gela poteva essere e non è mai stato”.
Il progetto di riconversione unica soluzione. L’obiettivo adesso è creare a Gela un’area verde dove far crescere gli investimenti “ma prima dobbiamo realizzare una raffineria sostenibile – avverte Miceli – Ho visto le pubblicità di Eni sulla green refinery e noto un eccessivo ottimismo sulle operazioni di marketing. Noi di biodiesel non ne abbiamo prodotto nemmeno una goccia. Non abbiamo ancora la materia prima per produrlo. Vogliamo rimanere focalizzati su questo aspetto per non lasciare Gela abbandonata a se stessa”.
Il guayul, quello sconosciuto. Il guayule è ancora in fase di una sperimentazione coperta da un velo di segretezza. “C’è un percorso avviato però la pianta non cresce nell’arco di un giorno – conclude Catania – Aspettiamo che cresca per capire se riesce a essere produttiva. Aspettiamo ancora. Sappiamo solo che ci vuole tempo, forze alcuni anni”.