Gela. Di Giuseppe Garibaldi, ateo, massone e negriero, perché acquistava schiavi indiani per venderli in America, abbiamo avuto occasione di ricordare ai nostri lettori, quale erano i dati identificativi degli uomini del Risorgimento italiano imbarcatisi a Quarto, presso Genova, per venire a salvare i meridionali dalla dominazione Borbonica. Il ladro Garibaldi, acquistava con i soldi del traffico degli schiavi una buona parte dell’isola della Sardegna, coinvolto dalla massoneria britannica e dal macellaio Vittorio Emanuele II con il suo degno compare Camillo Benso Conte di Cavour, giocatore d’azzardo della briscola Inglese e dalla malavita organizzata.
Lui che aveva definito il Papa Pio IX un metro cubo di letame, una volta al parlamento Italiano aveva proposto di deviare il fiume Tevere per sommergere la città del vaticano con tutte le sue opere d’arte e distruggere così qualsiasi ricordo della civiltà cristiana di Roma. Abbattendo così il simbolo della cristianità. Nel 1863 era diventato presidente di una società spiritica Veneziana e nel 1869, aveva aderito all’anticoncilio di Napoli e aveva invitato i partecipanti al rovesciamento del “mostro Papale e del prete bugiardo e sacrilego insegnatore di Dio”. Questo l’eroe dei due monti e l’uomo del risorgimento Italiano che assicurò al ladro e ateo Cavour di essersi impegnato a salvare il popolo duo Siciliano da chi? Dai Borboni che fino al 1860, il suo popolo non aveva avuto bisogno di emigrare come avevano fatto fino a quel momento i popoli del nord assoggettati all’Austria o alla Francia?
Il latifondo, nel 1860 esisteva al nord come al sud, ma mentre al sud con sacrifici enormi si lavorava e si viveva nel rispetto dei principi morali e religiosi, anche nel rispetto di quel “metro cubo di letame”, al nord emigravano. In quel popolo si viveva da più di duemila anni, nel rispetto degli insegnamenti morali e civili della chiesa cattolica, nell’onestà e nel rispetto della dignità umana, con l’avvento dei barbari nordisti, tutto cambia. La giustizia in mano alla malavita organizzata, ognuno è libero di fare e agire a suo piacimento, non esistono leggi da rispettare e Garibaldi attorniato dai picciotti può continuare a rubare con il suo amico Francesco Crispi e la massoneria Inglese atea per cultura coprendo tutte le sue opere fuori norma, compresi gli assassinii e gli stupri. Questi gli insegnamenti che i nostri liberatori ci hanno tramandato una società corrotta e senza alcuna forma di democrazia, intesa nella forma tradizionale ed etica in riferimento ai principi di Platone.
In quel periodo fu messa sotto accusa la spregiudicata gestione finanziaria della dittatura Garibaldina Dopo la morte del grande statista torinese e l’esilio forzato dell’eroe dei due monti a Caprera Giuseppe Garibaldi, restava solo Vittorio Emanuele II a raccogliere i frutti dell’unificazione. Il re dell’Italia unita, doveva solo garantire all’Europa ed in particolare all’Inghilterra e alla Francia che il nuovo stato unitario avrebbe garantito un futuro di stabilità economica nello scacchiere meridionale europeo. L’ordine geopolitico uscito dal congresso di Vienna nel 1815 non esisteva più e il nuovo assetto non riusciva ad emergere. In una lettera affidata da Cavour al re , si raccomandava con fermezza che bisognava ”imporre l’unità alla parte più corrotta, più debole dell’Italiano: Imporre con forza la morale e se questo non fosse stato sufficiente anche con la forza fisica” In definitiva se i napoletani non avessero accettato l’unificazione, asseriva ancora il Conte, l’unità doveva essere imposta con la forza, ”meglio una guerra civile che una irreparabile catastrofe” Ma quello che era l’estrema ratio per lo scaltro politico piemontese cioè la strada da percorrere qualora non fosse riuscito a coinvolgere il popolo duo siciliano nel processo unitario attraverso la politica . non avrebbe esitato a percorrere la strada della guerra, anche se spregiudicati e discutibili fossero i metodi. Questi i principi morali e religiosi che il grande politico piemontese lasciò in eredità al re Savoiardo solo il campo delle baionette che provocarono in molti casi una vera e propria macelleria. Questi insegnamenti, divennero per i generali, suoi fedelissimi, per il re e il suo partito, la strada possibile da percorrere che fu il calvario del popolo duo siciliano. Con l’avvento dei barbari nordisti, tutto cambia. La giustizia in mano alla malavita organizzata, ognuno è libero di fare e agire a suo piacimento, non esistono leggi da rispettare e Garibaldi attorniato dai picciotti può continuare a rubare con il suo amico Francesco Crispi e la massoneria Inglese atea per cultura, insabbiando tutte le sue opere fuori norma, compresi gli assassinii e gli stupri. Questi gli insegnamenti che i nostri liberatori ci hanno tramandato: una società corrotta e senza alcuna forma di democrazia, intesa nella tradizione Platonica pregna di principii morali e umani. In quel periodo, fu messa sotto accusa la spregiudicata questione finanziaria della dittatura Garibaldina. Al finanziere mazziniano Adriano Lemmi futuro Gran Maestro della massoneria italiana fu affidata la gestione degli appalti delle ferrovie senza nessuna gara, con un semplice contratto di 650 milioni di lire. Si denunciarono parte degli arricchimenti illeciti. Molte persone partiti miserabili, si sono ritrovati con le camice rosse e le tasche piene di soldi. I cantori delle imprese Garibaldine furono elargiti, come Alessandro Dumas, con la pubblicazione sul giornale l’”Indipendente” che descriveva l’eroe dei due monti come una leggenda vivente: Il giornale era finanziato dallo stesso Garibaldi. Il romanziere che ne decantava le lodi fu ripagato con mezzo milione di ducati d’argento. Tra i traduttori fu reclutato il giovane Eugenio Torelli Viollier che nel 1876 avrebbe fondato “il Corriere della Sera”. Fra le sovvenzioni illecite rimane da ricordare quella ad Agostino Bertani per avere sostenuto la sinistra garibaldina che si era impegnata nella campagna contro Roma e Venezia. Lo stesso Ippolito Nievo, era stato incaricato di portare la documentazione da Palermo a Napoli ma sparisce nella traversata vicino Capri senza nessuna possibilità di recupero. Il 14/2/1861 la documentazione per pagare le spie, la elargizione di denaro con i cinque milioni di ducati, sottratti al Banco di Sicilia, spariscono nei fondali del mare Tirreno con tutti gli uomini che si trovavano nel traghetto. Tutto rimase segretato. Le elargizioni erano state tante troppe che insieme alle spese per l’acquisto delle armi e per corrompere generali e soldati Borbonici, per pagare spie ed informatori, per il vettovagliamento, le munizioni erano immensi e importanti per non aprire una indagine amministrativa. Lo stesso Nievo era preoccupato di fare pervenire tutta quella documentazione a Napoli che avrebbe innescato ricatti incrociati dei vertici garibaldini. Chi aveva ottenuto i maggiori benefici da quell’impresa, scaricava da quel momento la responsabilità sulla sinistra rivoluzionaria che aveva precedentemente sfruttato, coinvolgendo Torino e Londra. Lo stesso Nievo, non molto convinto di quella situazione, ritardò una settimana la partenza ma alle 12 e 55 del 4/2/1861 salpò dall’arsenale a bordo dell’Ercole con destinazione Napoli. Dopo appena un giorno di navigazione, vicino all’isola di Capri, senza lasciare nessuna traccia, affondò. Così l’Ercole sparisce nell’immensità del mare Tirreno con i suoi 78 uomini e tutta la documentazione accumulata per fare luce su una gestione dittatoriale dell’eroe dei due monti Giuseppe Garibaldi. Il 17 marzo 1861, nasceva il regno d’Italia e sulla vicenda dell’Ercole scese l’oblio più profondo, il re Vittorio Emanuele II aveva quarantuno anni e inaugurò la storia segreta dell’Italia unita e il 6 giugno dello stesso anno, moriva l’altro eroe Conte Camillo Benso Cavour scomunicato dal Papa Pio IX. (1861 la storia del risorgimento che non c’è sui libri di storia di Giovanni Fasanella Antonella Grippo)
Sorvoliamo sulla stupidaggine del “Garibaldi negriero”, che compra “una buona parte della Sardegna” e trasporta “indiani” in America. Veniamo alla panzana su Roma. Garibaldi viene eletto deputato a Roma nel 1874, fa un sopralluogo sul fiume con un battello accompagnato da ingegneri e tecnici e presenta un progetto che fa perno su due iniziative collegate tra loro. La prima riguarda appunto la difesa di Roma dalle alluvioni con radicali lavori per il Tevere a monte, nell’ interno e a valle della città, comprendenti la deviazione dell’alveo urbano del fiume. La seconda prevede, in conseguenza, la bonifica dell’agro romano danneggiato dalle continue inondazioni. Tutto questo ha anche lo scopo di creare nuovi posti di lavoro per i romani. Come sempre, evitare gli storici, meglio i nipotini del dottor Dulcamara.
Spero partano le querele, scrivere certe stupidaggini supera ogni limite.