Gela. Sono stati coinvolti in un’indagine più ampia, che negli scorsi anni condusse i pm della procura a ricostruire una lunga scia di furti all’interno dell’ospedale “Vittorio Emanuele”. Tra le varie ipotesi di accusa, anche quella dei pasti che sarebbero stati consumati indebitamente da personale e operatori. Una costola del procedimento originario è arrivata davanti al giudice Miriam D’Amore. Il magistrato non ha però riscontrato i presupposti per andare avanti nel giudizio. Così, ha disposto il non doversi procedere “per non ragionevole previsione di condanna”. Di fatto, non ha individuato elementi tali da avanzare nel procedimento penale. La procura, con il pm Pamela Cellura, ha concluso richiamando la “tenuità del fatto”. Così, cadono le contestazioni più pesanti (più di ottanta), concentrate intorno alla figura del parroco don Filippo Salerno. Per oltre venti anni è stato cappellano del nosocomio di Caposoprano. Sulla base delle verifiche condotte, avrebbe consumato pasti nella mensa della struttura ospedaliera, senza averne diritto. Accuse che la difesa, sostenuta dai legali Nicoletta Cauchi e Filippo Incarbone, ha del tutto respinto. Sono stati richiamati i dettami dei contratti e delle convenzioni stipulate. Don Salerno, nel tempo, è sempre stato confermato nel suo ruolo. Solo di recente ha lasciato l’ospedale cittadino per trasferirsi in quello di Enna. Come hanno indicato inoltre i suoi legali, mai nessun vertice di Asp gli contestò irregolarità o anomalie, dato che aveva diritto a usufruire della mensa. Del resto, proprio il parroco, fin dall’inizio, prese le distanze dalla ricostruzione investigativa, sia in sede di interrogatorio sia in fase di riesame.
Il non doversi procedere è stato disposto inoltre per altri imputati, ai quali venivano addebitati pochi episodi, per le difese senza alcun rilievo. Si tratta di Liborio Bongiovanni, Salvatore Perticone e Salvatore Pizzo. Sono rappresentati dai legali Giuseppe Ferrara, Paolo Cassarino, Floriana Cicuzza e Letizia Pepi. Asp, nell’intero procedimento, è stata parte civile, con il legale Patrizia Comandatore. L’inchiesta venne condotta attraverso intercettazioni e videoriprese, seguendo prinicipalmente i dipendenti di un’azienda esterna, che si occupavano delle cucine dell’ospedale.