“Draunaraday”, ovvero due giornate col vento in poppa tutte dedicate ai figli del vento.
Mi sono affacciata dal balcone di casa mia e sono rimasta immobile a guardarli, ma non con la nostalgia che di solito tutti sentiamo quando – guardando il mare – ci sembra di cercare le risposte tra le onde, ma con quella sensazione di leggerezza miracolosa quando ci sembra che le emozioni ci stiano attraversando.
Svolazzavano prendendo per mano Eolo – loro amico fidato – quasi certamente alleggerivano le spalle da ogni peso e la “draunara” che tanto avevano atteso, c’era!
E loro per primi erano lei, “draunara”!
Una dea con un vestito svolazzante e i capelli volutamente scombinati, volutamente imperfetti e con quella imperfezione sconquassa il cielo, lo squarcia a suon di sibilo e gli fa posto per volare.
“Accomodatevi figli del vento, conoscete la strada e conoscete il rumore del kite quando sono io a guidarlo”.
Lo spettacolo che mi si profilva dinnanzi era strepitoso e non solo, o non tanto, per quell’effetto che i loro kite avevano sul cielo ma perché, voltandomi a sinistra e facendolo quasi inconsapevolmente, scorgevo le ciminiere spente della raffineria, spente ma ancora vive nell’immobilismo di una città e del suo silenzio.
Da una parte i figli del vento, dall’altra il ricordo immortale dei figli del “mostro”.
Da una parte il prezioso regalo della libertà e del desiderio di stare insieme e organizzare qualcosa di buono per il solo gusto -che a volte sembra desueto – di condividere senza WI-FI; dall’altra la bigiotteria dell’infelicità.
Un innocente, strepitoso, allegro furto di normalità e gioia dentro una città silenziosa e delirante insieme.
Immobile nel divenire altro che non sia il fumo e il ricordo del “killer”.
Era come se – per avere a mente la potenza dell’immagine dei figli del vento – la mia mente, che spesso crea labirinti, mi presentasse immediatamente un’immagine uguale e contraria insieme. Perchè io mi rendessi ancor più conto di quanto, una cosa edonisticamnete bella, per dirsi tale, dovesse necessariamente esser messa a confronto col suo contrario.
E certo, quelle ciminiere sembravano un paio di “All star” sotto un tubino nero sfoggiato con le perle, mentre loro, i figli del vento devoti alla dea “draunara”, null’altro che loro, uguali a nessuno, contrari al mostro, alla staticità che si respira per le strade di questa città di zucchero e veleno. Straordinariamente, l’esatto, miracoloso, contrario dell’inganno creato dal vuoto visto e respirato alla mia sinistra mentre cercavo di respirare la leggerezza guardando loro. L’esatto e miracoloso contrario di tutto ciò che è piombo e bloccato.
Nell’immobilismo pericoloso, i figli del vento sceglievano le ali e con poco, con pochissimo – qualche contributo di privati e un’informazione sull’evento basata sul passa parola – mi invitavano, e certo inconsapevolmente ci invitavano, a ricordarci che volare presuppone una fatica superiore allo strisciare e che, nell’assordante passato che ci portiamo dentro e che spesso ci sovrasta quando tentiamo di emanciparci dalla staticità che respiriamo per le strade, la “draunara”, se vogliamo, può farci guardare altrove. Dalla sua parte!
Buon volo, figli del vento!
Ps: dovremmo imparare ad usare le ali. Le nostre!