Estorsioni per gli alloggi popolari e il controllo del clan: le difese contro le accuse, “non esiste il clan Alferi”

 
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Gela. “Non esiste un clan Alferi, non è mai esistito”.

Le accuse d’estorsione. A ribadirlo, in aula, davanti ai giudici della corte d’appello di Caltanissetta, sono stati i difensori di Francesco Giovane, Maria e Vincenzo Azzarelli e Rosario Moscato. Sono tutti accusati di aver fatto parte del gruppo criminale, capeggiato dal boss Peppe Alferi, scoperto a conclusione del blitz antimafia “Inferis”. Gli avvocati Giacomo Ventura, Cristina Alfieri e Margherita Genco hanno contestato le accuse mosse dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Stando alla difesa, Giovane non sarebbe al centro di presunte estorsioni condotte anche tra le palazzine dello Iacp per la gestione degli alloggi popolari. Gli unici legami con Peppe Alferi sarebbero da collegare solo a rapporti familiari. Una linea seguita dagli altri difensori. I sedici imputati vennero condannati ad oltre cent’anni di detenzione dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Caltanissetta. Per questa ragione, hanno impugnato quel verdetto. Un giudizio, quello d’appelllo, ancora da valutare in relazione ad un ricorso in Cassazione, presentato dall’avvocato Giacomo Ventura sulla posizione di Francesco Giovane. Altri difensori concluderanno alla prossima udienza. La procura generale ha chiesto la conferma delle condanne di primo grado per i sedici imputati

Imprenditori parti civili. Parti civili si sono costituiti gli imprenditori che sarebbero finiti al centro delle richieste estorsive e del sistema organizzato dal gruppo Alferi,soprattutto quelli impegnati nei cantieri per la costruzione di complessi abitativi lungo l’area di via Butera. Sono rappresentati in giudizio dagli avvocati Joseph Donegani e Giuseppe Zampogna. Parte civile, con l’avvocato Vania Giamporcaro, si è costituito Emanuele Cascino, ex fedelissimo di Giuseppe Alferi e ora collaboratore di giustizia.

 

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