Gela-Niscemi. L’obiettivo della nuova mafia niscemese era quello di riorganizzare le fila ma, soprattutto, non abbandonare lo storico boss Giancarlo Giugno. I soldi delle estorsioni sarebbero serviti a garantire economicamente la famiglia del capo.
Emerge dalla lunga inchiesta “Fenice” condotta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta insieme agli agenti di polizia dei commissariati di Niscemi e Gela.
Anche per questa ragione, erano stati presi di mira due noti imprenditori niscemesi, i fratelli E.L. e E.L. I due avrebbero dovuto pagare in base alle loro capacità economiche. Furono gli esponenti di cosa nostra niscemese, con in testa il presunto nuovo capo Alberto Musto, a fare pressione sui due affinché cedessero e consegnassero il denaro. La prima richiesta formulata era di cinquemila euro.
Ma non ci si sarebbe limitati solo a questo passo. Il gruppo scoperto dagli investigatori avrebbe voluto salvaguardare anche i più stretti parenti di importanti affiliati. Sotto questo profilo, emergono i tentativi di far assumere, all’interno di un supermercato appena avviato da un noto gruppo economico, sia la moglie di Alessandro Ficicchia sia la figlia di Salvatore La Russa. La catena di supermercati aveva scelto di aprire i battenti a Niscemi utilizzando un immobile gestito da una società immobiliare riconducibile ai due fratelli imprenditori finiti nel mirino del gruppo retto da Alessandro Barberi e dal giovane Alberto Musto.
Alla presunta nuova leva dei clan niscemesi e a Fabrizio Rizzo, un altro degli arrestati, viene contestata l’azione messa in atto ai danni di V.D.P. Dieci colpi di fucile calibro 12 e due colpi di pistola calibro 7,65 esplosi in contrada Costa Fredda-Ursitto in direzione di una casa rurale. “Bastardu ciavi a riti ciavi, amma ira girari ri dà”.
Questa, una parte del commento intercettato dagli investigatori durante l’azione organizzata dagli arrestati in contrada Costa Fredda-Ursitto. Lo stesso V.D.P. venne nuovamente preso di mira dai due: un ordigno rudimentale fu collocato all’ingresso di un’abitazione di via Puglie. A coordinare tutto sarebbero stati, comunque, Alberto Musto e lo stesso Alessandro Barberi. I due si incontravano anche a Gela, nei pressi di un locale pubblico del quartiere Caposoprano.
Gli investigatori, inoltre, non escludono che il presunto nuovo capo di cosa nostra nissena Alessandro Barberi continuasse a mantenere i rapporti con storici esponenti mafiosi rinchiusi in carcere. Conferme giungono anche da un neo collaboratore di giustizia, Roberto Di Stefano.