Gela. Ha negato di aver imposto la propria assunzione nei cantieri edili che finirono sotto stretta osservazione degli inquirenti così come non avrebbe mai preteso denaro dagli ex titolari di una rivendita per prodotti destinati all’infanzia. Questa mattina, in videocollegamento dal carcere nel quale è detenuto, Simone Nicastro ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee. E’ imputato nel giudizio scaturito da una costola investigativa dell’indagine “Agorà”, sulla ricostituzione del gruppo stiddaro in città. Ha parlato nel procedimento che si celebra davanti al collegio penale del tribunale. “Dopo la scarcerazione cercai lavoro e riuscì ad ottenerlo in un cantiere edile – ha detto – lavoravo regolarmente e venivo pagato a fine mese. Mi interessava solo mantenere la mia famiglia”. Per i pm della Dda di Caltanissetta, invece, Nicastro (difeso dal legale Davide Limoncello) avrebbe fatto pesare la sua appartenenza al gruppo della stidda. Ha negato imposizioni per i soldi che invece gli inquirenti ritengono ci siano state ai danni dei titolari di una sanitaria, poi chiusa.
“Non è assolutamente vero – ha aggiunto – mi recavo in quella sanitaria per acquistare quello di cui avevano bisogno i miei figli. Addirittura, pagavo i debiti con l’assegno che a fine mese mio zio mi dava per il lavoro che svolgevo nella sua ditta”. La difesa ha prodotto anche atti ulteriori a riprova delle dichiarazioni di Nicastro. Sono a processo inoltre Carmelo Curvà, Luciano Orazio Curvà, Paolo Di Maggio, Giuseppe Caci, Umberto Barone, Salvatore Antonuccio e Giuseppa Palazzo. Agli imprenditori Angelo Cirignotta e Guido Cirignotta e all’ex titolare della sanitaria, Giuseppe Nocilla, viene invece contestato il favoreggiamento, perché avrebbero omesso di denunciare le pressioni degli stiddari. Contestazioni che secondo le difese non hanno fondamento. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Nicoletta Cauchi, Ivan Bellanti, Salvo Macrì, Cristina Alfieri, Giovanna Zappulla, Guglielmo Piazza, Alfredo D’Aparo, Giusi Ialazzo e Lara Amata.