Gela. “Avevo capito che con Missuto sarebbe stata una trappola”. L’imprenditore Nicolò Cassarà, coinvolto nell’inchiesta “Fabula”, ha parlato in aula davanti al collegio penale presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Silvia Passanisi). E’ a processo perché accusato di estorsione. Avrebbe preteso soldi da due imprenditori, per “aggiustare” indagini. Parti civili sono lo stesso Sandro Missuto e Francesco Cammarata, rappresentati dagli avvocati Antonio Gagliano e Luigi Miceli Tagliavia. L’imputato, che fino a qualche anno fa gestiva la cava di inerti di proprietà della famiglia, ha però respinto le accuse. “Sono stato io a far collaborare con la giustizia sia Roberto Di Stefano che Emanuele Terlati”, ha ribadito. Dopo le prime denunce contro gli estorsori che si presentavano alla cava, avrebbe iniziato una collaborazione con gli agenti di polizia del commissariato. “All’epoca c’era il dottore Giovanni Giudice”. Inoltre, avrebbe spesso avuto colloqui con un altro ispettore di polizia, che contattava con frequenza. Ha raccontato di aver subito pressioni da “Gino Rinzivillo e Valerio Longo”. Secondo la versione resa in aula, qualcuno avrebbe tentato di incastrarlo. Ha escluso di aver mai preteso la messa a posto dei due imprenditori, adesso parti civili.
“A Missuto non ho mai detto di far parte dei servizi – ha aggiunto – nel 2004, lui si vedeva con Carmelo Billizzi dietro alla mia cava”. Una ricostruzione che l’imprenditore ha fornito rispondendo alle domande giunte dal banco della Dda di Caltanissetta e da quello della difesa, con l’avvocato Giovanni Lomonaco. Insieme a Cassarà, nell’inchiesta vennero coinvolti Roberto Di Stefano (ritornato a collaborare con la giustizia) e Davide Pardo, ritenuto uno dei vertici della famiglia Rinzivillo. La decisione dovrebbe essere emessa al termine della prossima udienza.