Gela. Che fine ha fatto Gaetano Iannì, tra i padri più convinti della stidda avversaria di cosa nostra in città? Di lui, infatti, sembrano essersi perse le tracce. Nel giugno di quattro anni fa, la notifica di un avviso di presentazione davanti ai giudici della corte d’assise di Caltanissetta andò a vuoto. Niente di niente.
I funzionari del ministero dell’interno che si occupano di gestire il servizio centrale di protezione dei collaboratori di giustizia non sembrano avere risposte. Il collaboratore non si trova. A quattro anni di distanza dalla prima notifica a vuoto, la questione si è riproposta durante una delle udienze del processo che vede alla sbarra sette affiliati a stidda e cosa nostra, accusati di una serie d’estorsioni ai danni di un’agenzia di trasporto locale.
Uno dei difensori degli imputati, l’avvocato Cristina Alfieri, avrebbe voluto sentire la testimonianza di Iannì per meglio descrivere le dinamiche criminali di quel periodo in città. Una richiesta avanzata davanti alla corte presieduta dal giudice Paolo Fiore.
Ma Gaetano Iannì, appunto, non si trova. Irreperibile anche per i funzionari del servizio centrale di protezione. Concluso il programma di tutela, almeno stando alle liste ministeriali, Gaetano Iannì sembra essersi volatilizzato nel nulla.