Gela. Il presunto capo, in grado di controllare il giro di spaccio
e le estorsioni direttamente dal carcere, ha deciso di non parlare davanti al giudice delle indagini preliminari. Nicola Liardo si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Nicola Liardo non parla. Difeso dall’avvocato Giacomo Ventura, si è presentato dal giudice, nel corso dell’interrogatorio tenutosi in carcere. E’ accusato di aver gestito droga ed estorsioni per il tramite dei suoi più stretti familiari, ad iniziare dalla moglie Monia Greco e dal giovane figlio Giuseppe. Tutte contestazioni alla base dell’indagine “Donne d’onore”, condotta dai pm della Dda di Caltanissetta e dai carabinieri.
Raniolo si difende. Ha invece negato le accuse uno degli altri indagati, il ventisettenne Salvatore Raniolo. “Faccio uso di droga, è vero – ha detto al giudice nel carcere di Agrigento – mia moglie ha sempre cercato di farmi smettere”. Il giovane ha negato di aver messo a segno estorsioni per conto di Nicola Liardo. “I soldi erano solo quelli che chiesi a mia moglie di restituire – avrebbe proseguito – dopo un prestito ottenuto dai miei genitori. Nessuna estorsione”. Raniolo, difeso dall’avvocato Davide Limoncello, ha inoltre preso le distanze dai presunti danneggiamenti che gli vengono affibbiati dai pm della Dda. Per gli inquirenti, insieme a Giuseppe Liardo, figlio di Nicola, avrebbe sparato alle abitazioni di due giovani, a loro volta attivi nel mercato locale della droga. “Sono io che ho subito intimidazioni – ha concluso – spararono contro l’abitazione dei miei genitori”. Ieri, Monia Greco, Giuseppe Liardo e la sorella hanno a loro volta risposto alle accuse, escludendo l’esistenza di un’organizzazione capeggiata da Nicola Liardo.