Dia: Stidda gelese ha raggiunto pericolosità sociale particolarmente elevata

 
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Gela. E’ stata presentata in Parlamento, la relazione della Dia (Direzione Investigativa Antimafia), relativa al secondo semestre del 2019. In provincia di Caltanissetta, la situazione generale della criminalità organizzata appare  sostanzialmente inalterata rispetto agli assetti consolidati negli ultimi anni. Che Cosa nostra abbia definitivamente optato per una strategia silente, è comprovato dal fatto che in provincia si conti un solo omicidio, il cui movente, in base alle risultanze investigative, non è da ricercarsi in ambienti mafiosi. Anche il duplice tentato omicidio di due fratelli gelesi, avvenuto il 2 ottobre scorso in campagna,  sarebbe riconducibile a dissidi personali. L’assenza di fatti di sangue connessi al fenomeno mafioso conferma, anche per la provincia nissena, la propensione della criminalità organizzata a rivolgersi verso gli appalti pubblici e subappalti per forniture e servizi vari. L’infiltrazione dell’economia legale nei settori dei lavori edili, dei mercati ortofrutticoli e della distribuzione delle derrate alimentari, nonché dello smaltimento dei rifiuti, permette alle consorterie mafiose di ottenere e di gestire significative quantità di denaro, spesso con la complicità di funzionari e amministratori pubblici. Questa tendenza – sottolinea la Dia – trova conferma non solo per le storiche e strutturate associazioni criminali di Cosa nostra, ma anche per la Stidda. Proprio l’operazione “Leonessa”, ha permesso di sgominare un’organizzazione di origine stiddara che ha cercato di impiantarsi stabilmente nel nord Italia. Qui ha trovato fertile substrato nella ricca rete produttiva ed imprenditoriale delle province lombarde e si è evoluta da consorteria dedita ai reati predatori ad organizzazione capace di dialogare ed interagire con i “colletti bianchi”, allo scopo di acquisire la gestione ed il controllo di attività economiche, divenendo autonoma rispetto alla matrice di riferimento. Cosa nostra nissena continua ad essere organizzata, nella zona più settentrionale della provincia – posta nel cuore collinare e rurale dell’Isola da sempre sotto l’influenza dei Madonia -, nei noti mandamenti di Mussomeli e Vallelunga Pratameno. Più a sud è presente il mandamento di Riesi e, sulle zone litoranee, quello di Gela, dove Cosa nostra è rappresentata principalmente dalle famiglie Emmanuello e Rinzivillo, quest’ultima particolarmente colpita negli ultimi anni da importanti investigazioni. Secondo quanto emerso da un’indagine condotta nel 2013, le due principali organizzazioni mafiose gelesi si sarebbero accordate in ordine alla gestione delle attività criminali, evitando sovrapposizioni e prevenendo situazioni di conflitto. Lo scambio preventivo di informazioni e la partecipazione a periodiche riunioni avrebbe dovuto garantire un’“equa” ripartizione delle entrate ricavate dalle attività estorsive. Piuttosto articolata e suscettibile di mutamenti appare questa zona meridionale della provincia, dove alle famiglie di Cosa nostra si affianca la presenza della Stidda che sembra aver compiuto un mutamento nelle metodologie operative, espandendo i propri affari come i più strutturati sodalizi mafiosi storici. E’ poi presente il gruppo Alferi, sorto ancora più di recente e dedito alla commissione di azioni delittuose violente, ma confinate in ambito locale, la cui operatività è attualmente limitata dal potere dei sodalizi meglio organizzati e consolidati. Accantonato l’ambizioso progetto di porsi come una “terza” mafia, il gruppo gelese – sostengono gli investigatori – opera ponendosi al servizio delle consorterie più solide e sarebbe composto da personaggi, spesso molto giovani, legati ad un sottobosco criminale locale inquieto e scalpitante, disponibili a compiere furti, estorsioni, danneggiamenti per conto delle consorterie committenti. Proprio il fenomeno dei danneggiamenti caratterizza il panorama criminale della provincia di Caltanissetta, ed in particolare di Gela. Nel semestre in esame si sono contati 426 episodi di danneggiamento nella provincia, di cui 80 a mezzo incendio, con un triste primato per il territorio gelese nel quale, nel 2019, ha avuto luogo l’85% degli incendi della provincia, molti dei quali verosimilmente legati alle estorsioni. Tra le principali manifestazioni criminali, è significativo anche il dato degli episodi estorsivi, che appare piuttosto basso, in diminuzione rispetto al totale del 2018, probabile segnale di un atteggiamento timoroso delle vittime. Ancor meno evidente risulta l’usura. Per quanto riguarda i reati connessi alle sostanze stupefacenti, sia Cosa nostra che la Stidda mantengono il controllo dei propri affari illeciti non solo attraverso l’acquisto e lo spaccio, ma anche con la coltivazione delle piante di cannabis, avvalendosi di soggetti gravitanti nell’orbita della criminalità comune per evitare sovraesposizioni. Alcune attività di indagine hanno evidenziato, infatti, come l’approvvigionamento e la cessione dello stupefacente venga talvolta effettuato mediante personaggi non necessariamente riconducibili alle famiglie mafiose. Queste ultime, se non direttamente coinvolte, concedono il loro benestare in relazione all’utilità che la rete di spaccio restituisce alla consorteria in termini di controllo del territorio e di reclutamento della manovalanza. Nel lucroso settore dello spaccio di stupefacenti entra a pieno titolo anche la Stidda che negli ultimi anni, come si evince dalle attività investigative, sta dimostrando di aver raggiunto una pericolosità sociale particolarmente elevata. Dagli esiti dell’operazione “Stella cadente” emerge, infatti, come l’organizzazione fosse diretta da agguerriti capiclan e composta da fidati sodali che “…collaboravano per lo sviluppo dell’attività di illecito commercio di droga riferibile al clan mafioso, sotto gli ordini e le direttive dei capi…” Nel provvedimento giudiziario si delinea l’evoluzione della locale Stidda poiché, come si legge, i soggetti colpiti dall’indagine hanno fatto parte “…del nucleo gelese riconducibile a tale organizzazione, indicato inizialmente come clan dei pastori, successivamente come clan Lauretta-Coccomini,  quindi come clan Iannì – Cavallo ed infine denominato esplicitamente “Stidda di Gela”. L’organizzazione attuale sembra, in effetti, essere costituita da una doppia anima, militare ed imprenditoriale, entrambe funzionali allo sviluppo delle varie attività criminali nei settori

tipici delle associazioni mafiose, che hanno come obiettivo anche il controllo del territorio.

La consorteria, infatti, si è resa responsabile, tra l’altro, di aggressive e continuate attività estorsive, messe in atto ricorrendo talvolta a danneggiamenti incendiari. Estorsioni finalizzate a ricavare il denaro necessario per sviluppare anche iniziative commerciali intestate a prestanome. Il salto di qualità della Stidda è confermato e documentato, nel semestre in esame, anche dagli esiti del blitz “Leonessa”, che hanno rivelato come un’organizzazione mafiosa di origine stiddara – ma in parte riferibile anche ad elementi di Cosa nostra – insediatasi nel territorio bresciano, avesse pesantemente inquinato diversi settori economici, mediante la commercializzazione di crediti di imposta fittizi per indebite compensazioni Iva. I principali referenti del gruppo sono risultati operativi a Torino, Milano e Brescia. Nell’inchiesta sono risultati coinvolti anche pubblici funzionari e professionisti che, come emerge dagli atti, hanno fornito un “…contributo concreto, specifico, consapevole e volontario alla struttura criminale, individuando clienti ai quali vendere i crediti fittizi commercializzati dal clan, così fornendo un contributo rilevante ai fini della conservazione dell’associazione e del rafforzamento della sua infiltrazione nel tessuto socio-economico-istituzionale della provincia di Brescia e di Milano”.

Tra i professionisti indagati anche due commercialisti torinesi, ritenuti vicini all’organizzazione stiddara, che ricoprivano un ruolo esecutivo nel programma criminale, mettendo a disposizione del gruppo società dove far transitare le somme versate dai clienti e tramite le quali predisporre fatture di consulenza per dare una parvenza di liceità alle operazioni eseguite. La rinnovata vitalità delle organizzazioni mafiose nissene ed in particolare di quelle gelesi viene confermata anche dall’operazione “Exitus”, che evidenzia il ruolo di un professionista, che godeva di autorevolezza e totale fiducia all’interno della famiglia Rinzivillo e che aveva svolto per i vertici del sodalizio incombenze

rilevanti quali contattare malavitosi appartenenti alla Stidda ma anche alla famiglia messinese dei barcellonesi, alla famiglia trapanese di Salemi (Tp) e alla famiglia nissena dei Madonia nonché gestire affari in nome e per conto dell’organizzazione. In particolare, questa persona “…si metteva a disposizione del sodalizio mafioso quale professionista legale di fiducia di vari sodali …e assicurava la trasmissione all’esterno degli ordini e delle direttive del reggente capoclan…detenuto di

cui assumeva la difesa tecnica…”. Le indagini hanno confermato che, anche nel caso della famiglia Rinzivillo, l’associazione mafiosa risulta composta da un’ala criminale che si occupa di traffico internazionale di stupefacenti, estorsioni, traffico di armi, riciclaggio e da un’ala imprenditoriale interessata all’edilizia, al commercio di prodotti ittici o di autoveicoli, ma anche di opere d’arte, in grado di esercitare pressioni ed ingerenze nelle gare pubbliche di appalto. L’inchiesta fornisce uno spaccato importante sull’operatività della famiglia, organizzata, come è tipico delle associazioni mafiose, secondo una struttura gerarchica nella quale l’affiliato fedele non agisce  senza il benestare del

suo capo.  Anche l’operazione “Camaleonte” testimonia, nel semestre in esame, la persistente tendenza alla riorganizzazione ed alla ricostituzione dei propri ranghi, tipica delle consorterie gelesi, nonché la vocazione per gli “affari” illeciti che sembra attirare professionisti ed imprenditori senza scrupoli. L’indagine,in particolare, ha colpito noti imprenditori di Gela, che nel tempo avevano sviluppato, con esponenti mafiosi

della famiglia Rinzivillo, cointeressenze economico-finanziarie finalizzate allo stabile reinvestimento di capitali provenienti dalle attività criminali della consorteria. È emerso come il riciclaggio sia stato realizzato anche mediante l’acquisto da parte dell’organizzazione criminale di scontrini vincenti del gioco del lotto, oltre che mediante investimenti in opere d’arte, cavalli, polizze vita e titoli di stato sottoscritti da prestanome. Gli imprenditori “…consentivano ad esponenti delle famiglie mafiose dei Rinzivillo e degli Emmanuello  il sistematico riciclaggio di somme di denaro utilizzate per l’avvio ed il finanziamento delle…attività imprenditoriali, attraverso rimesse di contanti solo apparentemente riferibili ad essi indagati o a prossimi congiunti”. Si legge inoltre, nell’ordinanza di misura cautelare, che gli indagati, titolari anche di società di compravendita di autovetture, “…cedevano ad esponenti di rilievo dell’organizzazione mafiosa denominata Cosa nostra, tanto operante a Gela quanto in Catania, autovetture anche di grossa cilindrata gratuitamente o a prezzi di gran lunga inferiori al valore di mercato consentendo agli stessi di non intestarsele (rimanendo le stesse formalmente intestate alla concessionaria) o di intestarle a prestanome anche al fine di eludere le eventuali attività di indagine patrimoniale….”.

È importante sottolineare come, tramite lo schermo costituito da un’attività commerciale nota in ambito nazionale, veniva prestato denaro ad usura ad imprenditori in difficoltà, il tutto con l’avallo dal clan Rinzivillo. Gli effetti negativi di tali condotte sono inevitabilmente ricaduti sul tessuto dell’economia sana, incidendo sia sulla libertà d’impresa che sulle relazioni di concorrenza. Peraltro, l’offerta di un servizio così “funzionale” ad un certo tipo di clientela ha avuto un impatto negativo dal punto di vista sociale, stabilizzando e fortificando i vari settori dell’economia legale.  Tra i risultati operativi conseguiti, nel semestre in esame, dalla Dia di Caltanissetta, si evidenzia il sequestro

di prevenzione di beni riconducibili ad un soggetto arrestato nel corso dell’indagine “Extra fines”, ritenuto responsabile di reiterati episodi di estorsione, con l’aggravante di aver agevolato l’attività della famiglia Rinzivillo di Gela. Tra la fine del primo semestre e l’inizio del secondo semestre 2019, la Dia ha proceduto alla confisca definitiva di beni riconducibili ad un soggetto (risultato contiguo alla nota famiglia nissena dei Madonia) che, in qualità di socio ed amministratore di varie società con sede a Gela, si era reso disponibile a favorire l’associazione mafiosa. Era emerso, infatti, come si fosse instaurato un rapporto di mutua convenienza tra l’imprenditore e Cosa nostra, finalizzato ad imporre le proprie forniture di inerti in cambio di ingenti disponibilità finanziarie da destinare al sodalizio criminale, con l’obiettivo di acquisire, attraverso la forza di intimidazione dell’organizzazione mafiosa, una posizione di monopolio nel settore delle forniture e del trasporto degli inerti impiegati per la realizzazione di opere pubbliche e private. Sono stati confiscati immobili, attività commerciali, quote societarie, autovetture e rapporti bancari.

Un’altra confisca è stata infine effettuata nei confronti di personaggi di spicco della criminalità gelese ed in particolare contigui alla famiglia Rinzivillo. Il patrimonio confiscato comprende varie attività commerciali, alcuni immobili ed autovetture, di cui una di lusso, numerosi rapporti bancari, postali ed assicurativi.

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