Roma. Dall’inchiesta antimafia “Extra fines”, condotta dagli investigatori romani e da quelli della Dda di Caltanissetta, emersero rapporti piuttosto stretti tra il boss sessantenne Salvatore Rinzivillo e due carabinieri, Cristiano Petrone e Marco Lazzari, a loro volta arrestati nel blitz scattato ormai quattro anni fa. Ci sarebbero state informazioni, assunte attraverso i sistemi informatici delle forze dell’ordine, che sarebbero state passate a Rinzivillo. Per alcuni di quei fatti, i giudici della Corte d’appello di Roma hanno pronunciato la decisione, in settimana. E’ stata confermata la condanna a dieci anni di detenzione per Rinzivillo (difeso dall’avvocato Roberto Afeltra), che a Roma sarebbe stato in grado di muoversi, anche sfruttando rapporti particolareggiati con i due militari dell’arma. Per i carabinieri, però, i giudici di appello romani hanno escluso l’aggravante mafiosa, accogliendo la ricostruzione fornita dai legali. Così, le pene sono state ridotte. Sei anni e un mese di detenzione per Lazzari, difeso dall’avvocato Cesare Placanica. In primo grado, era stato condannato ad otto anni. Sei anni e undici mesi per Petrone, rappresentato dal legale Silvia De Blasis. Nei suoi confronti, in primo grado, erano stati disposti nove anni di reclusione. Per Lazzari, è arrivata l’assoluzione per uno dei capi di imputazione. Il procedimento ha riguardato anche l’avvocato Giandomenico D’Ambra (rappresentato dal legale Domenico Mariani). Già coinvolto nell’indagine “Extra fines”, il professionista si sarebbe messo a disposizione di Rinzivillo, per investimenti nella capitale e non solo. In appello, ha scelto un concordato mentre in primo grado era stato condannato a tre anni e sei mesi di detenzione.
Gli investigatori romani, partendo sempre dai contatti di Rinzivillo, sono arrivati a contestare agli imputati, a vario titolo, non solo l’accesso illecito ai sistemi informatici delle forze dell’ordine ma anche la corruzione. Di recente, Rinzivillo è stato condannato, sempre in appello, a venti anni di detenzione, nel procedimento scattato dall’inchiesta “Cleandro”, che consentì di tracciare le tratte della droga, in un traffico internazionale, che fu monitorato anche in Germania.