Gela. Nel 2010 Gela ha vissuto il massimo splendore sportivo.
Dalla A2 di pallavolo maschile alla serie C1 di calcio e basket alla B femminile per finire alla C1 di calcio a 5. Eravamo tutti consapevoli che sarebbe stato un anno unico, irripetibile. Ce lo siamo goduto sino in fondo. Noi cronisti/tifosi correvamo senza sosta dal sabato pomeriggio alla domenica sera, dimenticando ogni altro impegno, anche personale.
Dal palestrone Itis al PalaCossiga, dallo stadio Presti al PalaLivatino. Era una corsa ed una goduria continua. Non avevamo il tempo di completare il lavoro di cronaca e intervista del Gela calcio che ci si spostava ai palazzetti per applaudire i missili terra-aria di Valdir Sequeira o un muro di Claudio Martinengo. A volte ci si alternava con il PalaCossiga per sperare nella bomba da tre dei giovanotti di Aldo Urrico e Salvo Bernardo.
Come ci siamo divertiti con il volley femminile, con l’agilità di Martina Escher e le mani fatate di Noemi Spena.
Altri tempi, altro entusiasmo, ma soprattutto altra Gela. Era una città vicino al baratro. Nel 2011 il doppio shock, con la rinuncia alla serie A di volley (ripescaggio sicuro) e la C1 di calcio. Tre anni dopo niente pallacanestro, nemmeno pallavolo femminile. Oggi recitiamo il de profundis della Pro Gela, che non si è iscritta al campionato di serie C1.
Sparisce dal panorama del calcio a 5 la squadra più antica, ancora in attività, operante in Sicilia, protagonista del campionato di serie C1 per sedici anni consecutivi. Cancellati 33 anni di storia.
Da capitale siciliana dello sport al deserto totale. Di quegli splendidi anni rimangono gli archivi fotografici e le entusiasmanti immagini. Restano due palazzetti che nessuno vuole gestire e che rischiano di diventare (in parte lo sono già) terreno fertile per ladri e vandali.
Sarebbe facile prendersela con la politica. La verità è che Gela non si discosta da altre realtà economiche più importanti che vivono la stessa profonda crisi. Non investe più nessuno dello sport, pur potendo scaricare fiscalmente i contratti di sponsorizzazione. Se anche il calcio, lo sport più popolare, è sempre legato ad un filo sottilissimo, appare chiaro quanto il periodo sia drammaticamente triste.
Solo imprenditori appassionati di sport potevano assicurare categorie importanti ma se negli anni i vari Barranco, Caccamo, Melfa, Tuccio ed altri sono stati costretti a fare un passo indietro un motivo ci sarà. E le poche aziende ancora in salute (brave ad operare soprattutto all’estero e oltre lo Stretto) non sono minimamente intenzionate ad investire soldi nello sport.
Sportivamente abbiamo toccato il fondo. La risalita è possibile solo se la città riuscirà ad riemergere dalla voragine economica in cui è sprofondata.