Gela. E’ sempre bene tenere alta l’attenzione sui comportamenti giovanili legati all’utilizzo del web: a chi spetta il compito di tutela dei minori al tempo di internet? Alla tech company o ai genitori e agli insegnanti?
E come può il mondo degli adulti porsi allo stesso passo di quello dei giovani? Le immagini proposte mostrano esempi di contenuti tratti da alcuni profili anonimi di adolescenti di Gela, di età compresa tra i 13 e i 17 anni, di entrambi i sessi. Accedere ai botta e risposta è stato semplice: è bastato registrarsi e divenire membro di un noto social.
Questa nuova rete sociale sta superando Facebook dalle preferenze dei giovani. Basato su un meccanismo di “domanda-risposta”, l’atipicità che lo differenzia dagli altri social network è la possibilità di seguire gli amici e di interagire con essi attraverso l’anonimato. “I tuoi amici non sanno che li segui, l’anonimato è garantito”. Dunque, i quesiti possono essere posti da perfetti sconosciuti con sconosciute intenzioni. Esiste l’opportunità di rinunciare all’anonimato ma in realtà è proprio questa la formula più quotata tra gli adolescenti che, in tal modo, possono agire in completa libertà e in totale oscurantismo.
Alcune domande sono molto semplici. “Cosa hai mangiato oggi?; Cosa pensi del tuo paese?”, “Dimmi che libro leggi o che film hai visto”, “Posta la foto della tua migliore amica” o persino “Posta gli screen degli amici che segui”:
Ma tra gli atteggiamenti più preoccupanti risulta esserci quello di rivolgere domande prettamente personali, riguardanti soprattutto la sfera intima; di rinfacciare ciò di cui non si ha il coraggio di dire in faccia, di dare sfogo alle disapprovazioni, alle frustrazioni e persino all’ odio.
“Ti vien caldo, per caso hai voglia di fare certe cose?”; “Sei lesbica?”; “Ti toglieresti il pigiama, per farmi venire voglia?” “Posso leccarti i piedi?”; “Posti una foto in mutande?” “Sei vergine?” “E’ vero che sei stato a letto con ****?
Le domande di contenuto dichiaratamente sessuale sono le più complesse e a volte arricchite da dettagli che sfidano qualsiasi legge riguardante la privacy. C’è chi non le manda a dire dando sfogo ad espressioni cariche di ansia e aggressività e chi invece agisce con apparente diplomazia e la superficiale convinzione che dietro all’anonimato possono solo celarsi futili risentimenti tra coetanei.
Non stranisce che la più estrema delle conseguenze sia la nascita del cyber bullismo, rappresentata soprattutto dai contenuti lesivi, di minaccia, di istigazione al suicidio e all’autolesionismo, purtroppo facilmente riscontrabili.
Abbiamo posto le nostre perplessità iniziali a Francesco Pira, professore in sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’università degli studi di Messina: “Quanto sta accadendo ci mostra principalmente la mancanza di consapevolezza che attraversa adulti e giovani. La rete può essere, da un lato, uno straordinario strumento di diffusione della cultura e dell’informazione; dall’altro una forma di potere che tende a generare fenomeni di inclusione ed esclusione, in funzione della propria funzionalità. Ad oggi, nel nostro paese manca un progetto serio che si preoccupi di definire un approccio determinato e sano all’uso della tecnologia, che trasformi gli individui da meri consumatori a protagonisti della società in rete. Un concetto che chiama in causa la formazione, genitori in primis che devono riappropriarsi di un ruolo guida. Un argomento, questo, che nell’epoca in cui viviamo dovrebbe avere priorità in tutte le line educative e non solo quando fatti di cronaca o di attualità fanno emergere con forza la nostra inconsapevolezza”.
“E’ importante che i genitori conoscano per primi gli strumenti tecnologici che acquistano per i loro ragazzi. Contemporaneamente, la scuola e le altre agenzie dovrebbero fungere come luogo di formazione costante che coinvolga tutti: studenti, docenti e genitori. Per creare la consapevolezza delle responsabilità, piuttosto che quella del potere di comunicare”.