Controllata dalla mafia? La vicenda di un’azienda d’autotrasporto: accuse ridimensionate

 
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Immagini di repertorio

Gela. Non ci sarebbero elementi certi per collegare le aziende della sua famiglia ai gruppi criminali della città. La vicenda giudiziaria. Così, già negli scorsi mesi, i giudici della Corte di cassazione hanno respinto il ricorso presentato dal procuratore generale della Corte d’appello di Caltanissetta rispetto alla vicenda dell’imprenditore Nicolò Bartolotta. Quattro anni fa, i giudici del tribunale nisseno gli imposero la misura della sorveglianza speciale e sottoposero a confisca conti corrente e partecipazioni societarie. Una decisione, invece, ribaltata dai magistrati della corte d’appello. Adesso, arrivano le motivazioni dei giudici di cassazione che, a loro volta, hanno confermato l’assenza di elementi che potessero giustificare le misure imposte all’imprenditore, attivo soprattutto nel settore dell’autotrasporto e dell’intermediazione. Stando ai magistrati romani, infatti, la sua azienda sarebbe stata al centro di una serie di “condotte estorsive poste in essere da esponenti delle associazioni criminali”. L’unico interesse delle cosche rispetto al gruppo gestito dalla famiglia Bartolotta, inoltre, sarebbe stato quello di “procurargli lavoro e profitti di modo da incrementare la consistenza delle percentuali estorte”. Il ricorso del procuratore generale, quindi, è stato respinto e le motivazioni sono state rese note dai giudici romani.

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