Gela. Manca un “sicuro ravvedimento”. I giudici della Corte di Cassazione, con le motivazioni che sono state pubblicate, hanno confermato il no alla liberazione condizionale, richiesta dal quarantanovenne Emanuele Celona, già condannato per diversi fatti di mafia. Da oltre vent’anni collabora con la giustizia, avendo iniziato a parlare con gli inquirenti già dal 2002. E’ sottoposto a regime di arresti domiciliari, dovuto allo status di collaboratore. Il tribunale di sorveglianza di Roma aveva rigettato una prima richiesta, avanzata dalla difesa di Celona. La Corte di Cassazione annullò e la vicenda è ritornata al tribunale di sorveglianza, che però si è espresso sempre contro la liberazione condizionale. Decisione nuovamente impugnata in Cassazione. Per i giudici romani, questa volta, il ricorso non può essere accolto, nonostante la difesa abbia fatto riferimento anche al parere favorevole del Servizio centrale di protezione. La collaborazione con la giustizia, l’osservanza degli arresti domiciliari e una condotta ormai estranea ai clan di mafia, non sono ritenuti elementi sufficienti per attuare il beneficio. La stessa procura generale si è espressa per il rigetto del ricorso difensivo. “La valutazione compiuta dal Tribunale di sorveglianza risulta logicamente globale e palesa come il rispetto della detenzione domiciliare e la correttezza dei rapporti con il personale destinato alla sorveglianza del collaboratore, come anche la perdurante collaborazione, possano non essere indicativi di una revisione che renda certo, o almeno di elevata probabilità, il ravvedimento necessario alla concessione della liberazione condizionale”, scrivono i giudici di Cassazione. Fanno inoltre richiamo “all’assenza di fattori positivi”. “In tal senso l’assenza di fattori positivi, ricerca di lavoro, impegno sociale, attività di studio, appare logicamente ostativa a poter formulare la prognosi, all’esito della globale valutazione, quanto al sicuro ravvedimento”, si legge nelle motivazioni. L’osservanza di obblighi relativi alla collaborazione non è considerata sufficiente per la liberazione condizionale.
“Non sono sufficienti i comportamenti doverosi, come la buona condotta in detenzione e il rispetto degli impegni assunti ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b), I. cit., quanto al sottoporsi agli interrogatori e agli atti istruttori dei quali è richiesto: occorrono anche indici positivi ulteriori, indicativi di una volontà di ravvedimento”, viene riportato in sentenza. Tra gli altri aspetti, c’è l’assenza di qualsiasi tentativo di risarcire le vittime dei reati o le loro famiglie. La Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso proposto nell’interesse di Celona.