Brescia. Sei condanne emesse dal gup del tribunale di Brescia, ma cade la contestazione mafiosa che veniva sollevata dai pm della Dda lombarda. Si è concluso il giudizio abbreviato che era stato chiesto dalle difese di sei coinvolti nell’inchiesta antimafia “Leonessa”. Secondo i pm dell’antimafia bresciana, i gelesi, legati alla stidda, avevano messo radici nella zona, sfruttando soprattutto gli introiti degli illeciti finanziari e del sistema di compensazioni irregolari portato avanti dal consulente trentaquattrenne Rosario Marchese, che è a giudizio ma davanti al collegio penale del tribunale di Brescia. Il gup, invece, ha emesso condanne che vanno dai due anni e quattro mesi di reclusione, fino a cinque anni e otto mesi, imposti a Roberto Raniolo, ritenuto molto vicino a Marchese. Il gup ha accolto la linea difensiva, escludendo che i sei imputati fossero legati ad un’organizzazione mafiosa. Le condanne riguardano invece gli illeciti finanziari e alcune estorsioni. Per Raniolo, difeso dall’avvocato Stefano Tegon, l’assoluzione è stata pronunciata anche per due estorsioni. Il gup non ha riconosciuto il suo presunto ruolo di capo. E’ stata disposta la scarcerazione. Revoca della misura cautelare anche per Giuseppe Nastasi, condannato così come Francesco Scopece, Salvatore Sambito, Luca Verza e Giuseppe Tallarita.
La scorsa settimana, invece, l’ex capo della squadra mobile di Brescia ha ricostruito alcuni aspetti dell’inchiesta che portò agli arresti dei presunti stiddari, ma anche di professionisti e imprenditori che avrebbero sfruttato i “servizi” dei gelesi. Il poliziotto è stato il primo testimone nel dibattimento, avviato per imputati che non hanno optato per riti alternativi, compreso il presunto capo dell’intera organizzazione, Rosario Marchese.