Brescia. E’ stato direttamente il pm dell’antimafia bresciana Paolo Savio a produrre, in aula, il dispositivo della sentenza che la scorsa settimana ha portato alla condanna di sei imputati, coinvolti nell’inchiesta “Leonessa”, ma con l’esclusione dell’associazione mafiosa. Gli imputati giudicati dal gup del tribunale lombardo avevano optato per il giudizio abbreviato. La decisione del giudice dell’udienza preliminare potrebbe avere un certo peso anche rispetto alla sorte processuale degli imputati, che invece hanno deciso per il rito ordinario e sono a processo davanti al collegio penale del tribunale di Brescia. Questa mattina, in aula, è stato il turno dei militari della guardia di finanza che ricostruirono il presunto sistema Marchese, che secondo le accuse sarebbe servito a fare base nella zona bresciana e a produrre profitti economici, da destinare agli stiddari. Gli investigatori sono certi che partendo dalle attività del consulente trentaquattrenne, un gruppo criminale gelese si fosse radicato in Lombardia, riuscendo a procacciare decine di “clienti”, che avrebbero usufruito di compensazioni fiscali illecite, senza averne i requisiti. Il codice di riferimento per le operazioni finite al centro delle indagini era 6742, quello che dà accesso alle compensazioni per investimenti in aree economicamente svantaggiate. Per i finanzieri bresciani, si sarebbe trattato solo dello schermo pulito per coprire operazioni in realtà illecite, accedendo ad introiti milionari. Oltre a Marchese, sono stati coinvolti, Salvatore Antonuccio, Giuseppe Arabia, Antonella Balocco, Mario Burlò, Giuseppe Cammalleri, Gianfranco Casassa, Danilo Cassisi, Angelo Fiorisi, Carmelo Giannone, Giovanni Interlicchia, Corrado Savoia, Alessandro Scilio, Luisa Antonini, Valentina Bellanti, Roberto Bersi, Milena Beschi, Claudio Bina, Omar Bonazza, Richard Campos, Roberto Casassa, Matteo Collura, Simone Di Simone, Luca Faienza, Giuseppe Ferrari, Roberto Golda Perini, Salvatore Modica, Massimiliano Morghen, Michele Ortenzio, Maria Donata Prandelli, Flavio Prandelli, Nunzio Sciascia, Giuseppe Traiano ed Enrico Zumbo. Una presunta rete fatta da consulenti, faccendieri e imprenditori, soprattutto del nord Italia. Titolari di importanti aziende si sarebbero rivolti al gruppo di Marchese per tentare di accedere alle compensazioni, ripianando le pendenze con il fisco.
I finanzieri chiamati a testimoniare hanno ripercorso le tappe decisive dell’inchiesta, concentrata su centinaia di modelli F24 che venivano presentati per arrivare alle compensazioni e poi intascare le consulenze. L’antimafia bresciana ritiene che gli stiddari avessero da tempo fiutato l’affare, affidandosi a Marchese e iniziando a fare base stabile nella provincia bresciana. Il gup del tribunale, la scorsa settimana, pur condannando Giuseppe Tallarita, Francesco Scopece, Giuseppe Nastasi, Luca Verza, Salvatore Sambito e Roberto Raniolo, per reati tributari, ha escluso l’esistenza di un’organizzazione mafiosa. Una pronuncia che indubbiamente le difese degli altri imputati hanno già iniziato a valutare, rispetto alle ripercussioni che potrebbe averse sulle contestazioni mosse agli imputati nel procedimento principale, davanti al collegio. Sulla scorta della decisione del gup, è stata inoltrata una richiesta di scarcerazione per Giovanni Interlicchia e Giuseppe Arabia. Nel corso dell’udienza odierna, Marchese, in videocollegamento dal carcere al cui interno è detenuto, ha più volte chiesto di intervenire rilasciando dichiarazioni spontanee. Nel dibattimento, gli imputati sono difesi dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Giovanna Zappulla, Davide Limoncello, Angelo Cafà, Maurizio Scicolone, Sinuhe Curcuraci, Vito Felici, Stefano Tegon, Roberto Lancellotti, Federico Gritti, Vanni Barzellotti e Patrizia Zanetti.