Gela. Si prospetta un nuovo ricorso, questa volta in Cassazione. I giudici del riesame di Caltanissetta hanno depositato le motivazioni del verdetto che ha respinto le richieste avanzate dai legali di alcuni dei condannati nel giudizio d’appello, scaturito dall’inchiesta antimafia “Redivivi”. Dopo la decisione di secondo grado, infatti, gli imputati sottoposti fino a quel momento agli arresti domiciliari, sono stati invece trasferiti in carcere, insieme agli altri presunti complici. Secondo i giudici nisseni, quello dei Trubia, scoperto nel corso delle indagini, sarebbe stato un gruppo mafioso, capace di controllare larghe zone rurali della città, monopolizzando il mercato della raccolta della plastica (usata per le attività in serra), e il sistema delle guardianie. Aggravamento delle misure di custodia cautelare che è scattato, in aula, subito dopo la lettura del dispositivo. I legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Nicoletta Cauchi e Cristina Alfieri, hanno contestato l’applicazione della custodia in carcere, escludendo soprattutto il pericolo di fuga degli imputati. Una linea che non ha convinto i giudici del riesame, che con le motivazioni confermano l’aggravamento. I primi ricorsi in Cassazione potrebbero essere depositati a breve.
Con il verdetto di secondo grado, sono stati disposti quattordici anni e dieci mesi di reclusione per Vincenzo Trubia, undici anni a Davide Trubia e Ruggero Biundo, dieci anni e dieci mesi a Rosario Trubia (1990), dieci anni e tre mesi a Nunzio Trubia, otto anni e undici mesi a Luca Trubia e Simone Trubia, otto anni e nove mesi a Rosario Caruso e un anno di reclusione a Rosario Trubia (1989). In primo grado, il collegio penale del tribunale di Gela aveva escluso l’esistenza di un’organizzazione mafiosa, facendo riferimento solo al “metodo mafioso”.