Gela. Il pm Luigi Lo Valvo, al termine della sua requisitoria, ha confermato le responsabilità dell’imprenditore sessantaduenne Rocco Palmeri e dei familiari. In base alle contestazioni, Palmeri avrebbe intestato le società di famiglia ai parenti e alla figlia, solo per eludere gli accertamenti degli inquirenti e le misure che gli erano state imposte. L’inchiesta fu condotta dai militari della guardia di finanza. Per il pubblico ministero, dietro alla gestione della “Carni del golfo” e della “Tir Italia”, c’era sempre l’imputato. Per lui, è stata chiesta la condanna a quattro anni di reclusione. Due anni ciascuno, invece, per i presunti prestanome, Concetta Palmeri, Rocco Palmeri (1952) e Dorotea Palmeri. Intestazione fittizia e dolo di elusione sono stati più volte richiamati dal pubblico ministero. L’inchiesta partì da un procedimento di altro tipo, per la separazione dell’imprenditore e dell’ex moglie. Fu la donna a chiedere accertamenti sulle disponibilità del sessantaduenne, dopo la richiesta di riduzione dell’entità dell’assegno di mantenimento. Il pm ha ripercorso gli accertamenti condotti e ha più volte spiegato che l’imprenditore, formalmente estraneo alle società, era però nella piena disponibilità delle carte di credito, con pagamenti fatti in hotel, locali e anche per una crociera. Gli altri imputati, infatti, secondo le accuse non avrebbero avuto le capacità economiche per acquisire le quote societarie delle due aziende, una attiva nel commercio di carni e l’altra nell’autotrasporto. Il pubblico ministero ha insistito sul fatto che le spese, anche per auto di grossa cilindrata (una Porsche e una Bmw), fossero tutte riconducibili al vero riferimento del gruppo societario, ovvero lo stesso Palmeri, in passato coinvolto in un’inchiesta antimafia e poi sottoposto a misure di prevenzione. “Temeva di poter incorrere in misure patrimoniali”, ha aggiunto il pm che ha anche richiamato il contenuto delle intercettazioni. Una ricostruzione, quella fornita dall’accusa, che invece è stata del tutto respinta dalla difesa. Gli imputati sono rappresentati dagli avvocati Flavio Sinatra e Fernando Vignes.
“Non c’era alcun timore di misure a suo carico – ha detto Vignes – quelle società gli vennero restituite dopo il dissequestro. La prova è che Palmeri si è rivolto ai suoi familiari e alla figlia. Se avesse avuto scopi diversi, avrebbe potuto scegliere altre persone, a lui non riconducibili. Non ci sono elementi per contestare il dolo di elusione e l’intestazione fittizia. Palmeri ha sempre lavorato regolarmente ed era lui che presenziava alle operazioni. Non ha mai temuto per possibili misure a suo carico”. Nel corso della prossima udienza, toccherà ancora ai difensori concludere, prima della decisione del collegio presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro e Martina Scuderoni).