Gela. Il voto finale sulla risoluzione non è ancora stato formulato dalla commissione industria del Senato, che nelle ultime settimane ha condotto approfondimenti sull’area di crisi complessa locale, ad oggi rivelatasi un flop. I senatori torneranno a riunirsi dopo il 4 giugno. Il governo, però, ha già assicurato una prima apertura. Il viceministro dello sviluppo economico Alessandra Todde ha dato l’assenso alla proroga dell’accordo di programma, che sulla carta scade il prossimo ottobre. Nel confronto con i senatori della commissione, però, sono stati posti anche dei paletti. Al momento, infatti, il governo non concorda con l’ipotesi di un aumento dei fondi a disposizione, che ammontano a 25 milioni di euro. Si potrà valutare questa soluzione, suggerita invece dalla commissione, solo se con il nuovo bando ci saranno effettive esigenze di integrare le risorse finanziarie, che in realtà le parti sociali, fin dall’inizio, hanno ritenuto del tutto inadeguate. Neanche i 25 milioni disponibili sono stati utilizzati, ad eccezione di una parte, minima, che spetterà all’unico progetto di investimento selezionato da Invitalia. La commissione industria ha dovuto fare luce su una delle poche aree di crisi italiane che non ha prodotto praticamente nulla, nonostante dovesse rappresentare un’alternativa vera alla riconversione Eni. Il viceministro non ha trascurato i tempi quasi “biblici” dell’intero iter. Sono trascorsi quaranta mesi dal momento del riconoscimento formale dell’area di crisi, che risale al maggio del 2015, alla stipula vera e propria dell’accordo di programma, che ha recepito il progetto di riqualificazione e riconversione industriale. Più di tre anni, che secondo il viceministro sono da addebitare in buona parte alla Regione che ha tardato nel perimetrare l’area di crisi, ma anche ad “una prolungata attività istruttoria di alcuni potenziali driver di sviluppo, su proposta del Comune di Gela e a seguito di interlocuzioni avviate con i principali stakeholder, nonché in accordo con uno studio elaborato da Nomisma su incarico di Eni, i quali non avevano i necessari requisiti di cantierabilità per dare luogo a concrete azioni agevolative”, si legge nel verbale dell’ultima riunione della commissione industria del Senato. Il governo, in base alle posizioni espresse dal viceministro, non può dare garanzie, come invece indicato nell’eventuale bozza di risoluzione, né sul fatto che la città possa diventare sede del Centro nazionale dell’idrogeno (“i Campioni nazionali di ricerca e sviluppo sono da intendersi come una rete di eccellenze scientifiche presenti su tutto il territorio nazionale e che, dunque, la richiesta sembrerebbe contraria alla ratio dell’intervento previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza”) né che possa intervenire sulla riqualificazione portuale. “La riqualificazione del “porto di Gela in tema di porto commerciale” non può prescindere da valutazioni generali relative all’efficienza e alla programmazione del sistema portuale nazionale, come del resto il potenziamento delle infrastrutture viarie e ferroviarie, che deve tener conto dello schema generale di interventi previsto dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili”, si legge ancora nel verbale che riporta quanto espresso da Todde.
C’è invece piena condivisione di un percorso che dovrebbe favorire una maggiore semplificazione di tutti i passaggi propedeutici agli investimenti nelle aree di crisi, anche snellendo le prassi per il rilascio delle autorizzazioni. I senatori faranno il punto, probabilmente entro la prossima settimana, tenendo in considerazione le posizioni del viceministro. All’indagine sull’area di crisi locale ha attivamente partecipato il senatore grillino Pietro Lorefice, che sta seguendo l’iter ministeriale, in attesa che si sblocchi il nuovo bando. L’amministrazione comunale, come spiegato dal sindaco Lucio Greco e dal consulente Pietro Infererra, sentiti in commissione, punterebbe ad integrare l’area di crisi, attraverso il Contratto istituzionale di sviluppo. Anche la commissione industria, nella bozza di risoluzione, cita la necessità che si arrivi al Contratto istituzionale di sviluppo; che si acceleri per l’aggiornamento del piano di risanamento ambientale del Sin, con fondi adeguati per le bonifiche; infine, che si apra un tavolo permanente per concretizzare gli investimenti sul territorio, attraverso tutto gli strumenti istituzionali previsti. L’unica cosa certa, al momento, è che a sette anni dal protocollo di intesa, che ha sancito la riconversione green di Eni, investimenti alternativi a quelli della multinazionale non se ne sono visti, con un’enorme perdita occupazionale, in un territorio che fa fatica ad immaginare un qualsiasi tipo di futuro.