Gela. Non ci sarebbero state richieste estorsive a due imprenditori, che in passato, con le loro denunce, portarono a processo anche Nicolò Cassarà. A confermare che non furono avanzate imposizioni per il denaro, è stato il collaboratore di giustizia Roberto Di Stefano, sentito davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. Risponde alle accuse, lo stesso Cassarà, che in primo grado fu però assolto dal collegio penale del tribunale di Gela. I fatti, al centro del procedimento, confluirono nell’indagine “Fabula”. L’esame testimoniale di Di Stefano è stato chiesto e ottenuto dalla difesa di Cassarà, sostenuta dal legale Giovanni Lomonaco. Già in primo grado, il collaboratore di giustizia aveva spiegato che non ci fu mai un coinvolgimento di Cassarà in presunte richieste estorsive, ai danni degli imprenditori Sandro Missuto e Francesco Cammarata, che sono parti civili (assistiti dagli avvocati Antonio Gagliano e Luigi Miceli Tagliavia). La sentenza di assoluzione, emessa in primo grado, è stata impugnata dai pm.
Così, si è aperto il giudizio di secondo grado. Anche gli imprenditori verranno sentiti. Secondo la difesa, fu proprio Cassarà a spingere Di Stefano ed Emanuele Terlati a collaborare con la giustizia. L’imputato raccontò di aver avuto rapporti con le forze dell’ordine, negando invece di aver millantato la possibilità di aggiustare processi o di far parte dei servizi segreti, come emerse nel corso dell’inchiesta. L’attività economica condotta dalla sua famiglia, titolare di una cava di inerti, fu spesso sottoposta a richieste estorsive e imposizioni dei clan, così riferì l’imputato, già in primo grado. In aula, si tornerà a marzo.